In quasi mille anni di storia letteraria, da San Francesco a Calvino, la produzione culturale italiana è stata raccontata – nei programmi scolastici – quasi esclusivamente al maschile. Lo confermano le autrici Sharon Hecker e Catherine Ramsey-Portolano in Female Cultural Production in Modern Italy (Palgrave, 2023), saggio-report di una ricerca da loro condotta sui piani di studio italiani: i testi universitari di letteratura esaminati non includono autrici donne.
Ma la letteratura è specchio di una società e racconta la vita di un popolo, di un Paese, di una cultura; è riflesso delle esperienze umane. Appare evidente come una letteratura priva del contributo femminile sia deficitaria e, alla luce di queste considerazioni, è legittimo chiedersi se non sia giunto il momento di revisionare i programmi scolastici. Per capire l’importanza di tale riforma è necessario esplorare come la storica esclusione delle autrici abbia influenzato la rappresentazione della cultura italiana.
Non si tratterebbe soltanto di una riforma scolastica, ma di un gesto capace di scardinare simbolicamente il regime patriarcale che ancora condiziona la società contemporanea. Paradossale che proprio dall’ambito accademico, luogo dell’intelletto e del pensiero critico, – ambiente dal quale sarebbe più che lecito aspettarsi un’apertura verso l’inclusività e la parità di genere – provenga questa chiusura.

Anche il canone letterario sembra adeguarsi al riflesso dell’atavica consuetudine del nostro Paese di porre l’individuo maschio al centro della società. Si consideri, ad esempio, ancora oggi la netta disparità tra generi nelle alte cariche delle aziende: i vertici aziendali del settore privato sono occupati solo per il 17% da donne (fonte Cnpr forum 11/2024); oppure si pensi al dibattito – sempre attuale e acceso – sull’abbandono dell’utilizzo del maschile sovraesteso, argomento che desta a tutt’oggi clamore e l’insofferenza di buona parte dell’opinione pubblica. Atteggiamento che non sorprende, se si considera che questa disparità affonda le sue radici in secoli di sistematiche dinamiche di esclusione femminile.
Del resto, uno dei motivi per cui le autrici donne sarebbero state escluse dai programmi scolastici è che le loro tracce storiche non sono arrivate a noi. Forse perché fino al secolo scorso, l’accessibilità all’istruzione per le donne era ancora prerogativa di poche elette (per lo più appartenenti a un elevato rango sociale), e di conseguenza ridotta era la possibilità di vedere pubblicata una loro opera. Eppure, fin dal Medioevo, l’Italia ha visto fiorire autrici di straordinario valore: Compiuta Donzella, ad esempio, prima poetessa in lingua volgare del XIII secolo, inserita nella raccolta poetica Vaticano latino 3793 (la stessa che conteneva componimenti di Dante, Guittone D’Arezzo, Giacomo da Lentini…), o Caterina da Siena, il cui Epistolario rappresenta un esempio importante di prosa medievale e nel 1500 fu pubblicato da Aldo Manuzio (lo stesso editore che, con la collaborazione di Pietro Bembo, diede alle stampe i classici da Petrarca e Dante). La questione dell’accessibilità all’istruzione è sicuramente centrale, ma non può essere l’unica spiegazione: il vero problema è stata la successiva cancellazione delle loro opere dal canone, secondo una precisa scelta culturale marginalizzante.
Privare intere generazioni di studenti della voce autoriale femminile significa impedire loro uno sguardo diverso da quello che ha guidato il Paese fino a ora. Significa rinunciare a una componente essenziale del nostro patrimonio culturale, condannando all’oblio testimonianze di inestimabile valore. Rimettere le autrici al centro non sarebbe solo un atto di giustizia letteraria, ma un modo per restituire alla cultura italiana la sua forma intera.
Hecker, Sharon, and Catherine Ramsey-Portolano. Female Cultural Production in Modern Italy : Literature, Art and Intellectual History. 1st ed. 2023. Cham: Springer International Publishing, 2023. Web.
Image, by Freepik
