“La rara Felicità”, di Andrea Pellegrini: amicizia, poesia e amore fra le trincee della Prima guerra mondiale

Uscito il 31 maggio per Castelvecchi Editore, La rara felicità è il nuovo romanzo di Andrea Pellegrini, un testo che ci porta sulle rive del fiume Isonzo e ci affonda a forza nel fango delle trincee della Prima guerra mondiale, in una storia di guerra, amicizia, poesia e amore.

1916, si intreccia con le trame della Prima guerra mondiale l’amicizia tra un cappellano militare e un fante, un poeta dallo spirito per qualche verso blasfemo ma dotato di una purezza angelica, di nome Giuseppe Ungaretti. Un amore (simbolo di un auspicato ritorno a una vita normale) per la stessa donna, che unisce il cappellano e (il quasi inconsapevole) Ungaretti con un filo invisibile ma inalterabile, fino alla fine della guerra e dei giorni su questa terra. E un dipinto, quello della giovane Ester, la prostituta slovena sordomuta, con i suoi piedi scalzi e il suo neo invogliante che intenerisce, per la scelta delle pennellate con cui è tratteggiata.

Ungaretti in trincea, le tematiche

Ungaretti è pretesto, prima che personaggio. Un inseguimento, un’infatuazione per lui da parte del cappellano “di battaglia” in un racconto spietato della guerra. Ma più che dei suoi orrori, delle condizioni laterali in cui versano gli attori secondari della guerra: la soldataglia. Un’umanità stantia e annientata che nella stragrande maggioranza va ben al di là dei propri limiti di pudore, di buon gusto, di educazione, di rispetto per se stessi e per gli altri. In una parola, di umanità. Pellegrini ci porta in trincea con loro, nella merda e nel puzzo umano, negli sconci postriboli affollati di reietti che si imbucano con donne nelle baracche. Ritratto della guerra – e di come questa è in grado di ridurre l’essere umano – che sta molto vicino a quei disillusi Fenoglio e Rigoni Stern che non fanno sconti a nessuno.

Il testo è anche spunto per riflessioni sull’amore, sull’amicizia, sulla fede, sui dubbi, sul significato che per ciascuno ha la fedeltà a un dio, dio che, come diceva De André, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, il che è esattamente quello che ha fatto l’uomo da quando ha messo piede sulla Terra. Un cappellano che professa attivamente e diffonde, senza il folclore devozionale dei Flagellanti, ma neanche con l’indole condiscendente della Chiesa bergogliana.

Una scrittura sofisticata

Un romanzo sbalzato dalla pietra a colpi di martello, ma espresso con una lingua, quella del cappellano, misurata e ben costruita. 
Va detto che non è un romanzo per tutti. Non è quel che si dice un romanzo scorrevole – requisito che a oggi sembra essere diventato indispensabile per la vendita di un libro, o per ambire allo Strega, per dirne una. È una scrittura cerebrale, una sintassi non lineare, costruzioni ricche di subordinate il cui ordine è scelto con cura, ma non tanto finalizzato alla fruibilità e all’immediatezza, quanto all’adesione incondizionata della musicalità della frase, del periodo. Al movimento della scena o del testo. Al tratto poetico del respiro.

Lo stile di Pellegrini si conferma curato, fine, nonostante la potenza che riesce a esprimere. L’amore per la metrica, per il vocabolo, per la costruzione della frase, con una forte componente poetica. La sua lettura, totalizzante, preclude la possibilità di distrazioni. È una scrittura piena e musicale, rigogliosa di figure retoriche usate con misura e consapevolezza, sicura e indifferente a chi la guarda come la ruota di un pavone, ma arcigna. Straripante di nomi di luoghi e personaggi, e di riflessioni, il lettore lo sfida, lo chiama in causa. Lettura attiva. Nulla è regalato, suggerito; bisogna andarselo a cercare. Inoltre, a differenza dello staffiere, narratore del precedente libro di Pellegrini Piccole indecenze, il cappellano è colto e dalla sua lingua lo si evince; ciò fornisce all’autore maggiori possibilità espressive. 
Si prenda ad esempio: 

Andrea Pellegrini è anche autore dei romanzi Piccole indecenze. Un amore pericoloso di Ugo Foscolo (2022), Lettera dalla Norvegia (2006) e Come una madre (2008).

Da una patina untuosa inamidati, restano giù in cortile subito morti e le mani artigliate in gesti estremi e il sangue ricordo di aver visto quando fuggiamo.

In questo brano di grande impatto visivo ed emotivo Pellegrini utilizza licenze e artifizi retorici tipici della poesia per creare un’immagine intensa e toccante. La frase, di costrutto cataforico, si apre con l’anastrofe nella proposizione relativa Da una patina untuosa inamidati, cui segue la principale restano giù in cortile subito morti. Poi la frase continua per polisindeto con proposizioni copulative, presentando l’immagine metaforica delle “mani artigliate” e solo alla fine viene rivelata la referenza dell’apertura, ovvero il sangue, che inamida con una patina untuosa tutta la scena (e che per questo si trova all’inizio). 

In questo brano si nota un’altra scelta importante: la discrepanza temporale. Il verbo “restano”, al presente indicativo, suggerisce una contemporaneità dell’azione rispetto all’enunciazione, mentre “ricordo” implica un’azione di adesso che però rimanda a un’azione passata e completata (“di aver visto”, che esprime anteriorità); e infine “quando fuggiamo” è di nuovo al presente, a indicare un’azione contemporanea o futura rispetto al centro deittico. La combinazione di questi tempi verbali stravolge la consecutio temporum tradizionale, avvicinando il lettore al momento narrato e inducendolo indirettamente ad assorbire un disordine, una confusione emotiva, e creando un senso di atemporalità nell’esperienza descritta. Nonché addolcendone la prosodia. 

Un romanzo in cui qualità e studi preparatori sono evidenti, ma non ci soffermeremo in questa sede sulla sua realtà storica, perché qui è la scrittura a interessarci principalmente. Va solo menzionato che la narrazione è solidamente fondata su fonti autentiche sulle quali l’autore si è documentato, tra cui spiccano le lettere di Ungaretti, il Diario di guerra 1916-1917 di Carmine Cortese e Il tascapane di Ungaretti di Ettore Serra; base documentale che l’autore utilizza come rampa di lancio di un racconto originale e appassionante.

Un romanzo per chi apprezza la parola, per gli amanti della poesia, per chi vuole addentrarsi de relato nelle buie atmosfere della guerra o chi semplicemente desidera conoscere un Ungaretti inedito. Un seducente invito per chi cerca un’esperienza letteraria coinvolgente e stimolante.

Lascia un commento

Scopri di più da Francesco Montonati | Servizi Editoriali

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere