“La Vegetariana” di Han Kang: metamorfosi nel prisma della modernità sociale

Nel panorama della letteratura contemporanea, “La Vegetariana”, dell’autrice sudcoreana Han Kang (Adelphi), spicca come un’opera di singolare potenza allegorica, che attraverso un’architettura tripartita esplora le profondità dell’alienazione umana nella società moderna. Al centro della narrazione, la figura di Yeong-hye, una donna il cui rifiuto categorico di consumare carne si tramuta in un atto di sovversione esistenziale che trascende la mera scelta alimentare. La sua famiglia legge il suo gesto come un atto di ribellione e la ostracizza, abbandonandola a un solitario percorso di trasformazione personale.

La struttura del romanzo, articolata in tre movimenti, ciascuno narrato attraverso una diversa prospettiva, costituisce un raffinato dispositivo narrativo che illumina la progressiva metamorfosi della donna, senza mai realmente individuarla (se non forse nel titolo) come vera protagonista. La sua voce rimane infatti costantemente mediata. La osserviamo ad esempio nel primo capitolo attraverso lo sguardo stralunato del marito, emblematico modello di inadeguatezza borghese, che osserva e racconta gli strani comportamenti della consorte. Gli altri due capitoli sono narrati invece da un narratore esterno; prima dal punto di vista del cognato che, ossessionato dalla fusione tra carne e natura, ambisce a possedere sessualmente Yeong-hye cercando tramite lei un contatto con l’essenza della Natura per poi ritrarla traducendola in chiave artistica; poi, nel terzo capitolo, dal punto di vista della sorella, che cerca di ricondurre l’apparente delirio mistico di Yeong-hye entro i confini rassicuranti della diagnostica psichiatrica.

L’opera si inserisce con raffinata consapevolezza intertestuale nel solco della grande tradizione letteraria del topos della metamorfosi, stabilendo un dialogo profondo con i suoi predecessori più illustri. Il riferimento alle Metamorfosi ovidiane si intreccia sapientemente con l’eredità kafkiana, in particolare con la figura di Gregor Samsa, incarnazione fisica della perdita di identità e dell’isolamento sociale. È attraverso questa duplice lente interpretativa che Han Kang esplora il tema dell’alienazione contemporanea, dove la trasformazione fisica diviene metafora della disgregazione dell’identità sociale e dell’isolamento dell’individuo nella società moderna. Ma l’autrice trascende questi riferimenti per esplorare un territorio meno battuto, un luogo metafisico dove il corpo diviene metonimia dell’esistenza stessa. La trasformazione fisica della protagonista si configura come metafora di una più profonda ricerca di liberazione dalle costrizioni sociali e dalle strutture di potere che governano l’esperienza umana.

La narrazione si sviluppa in una caleidoscopica profusione di spazi indefiniti, una babele ermeneutica che si offre, quale vergine sacrificale, all’altare delle interpretazioni più ardite; dall’astrazione escatologica fino a un sibillino richiamo esistenzialista che si fa specchio della vanitas contemporanea. In questo labirinto semantico, Han Kang orchestra una sinfonia di significati che trascende la mera trama narrativa, elevandosi a parabola universale sulla condizione umana. La sua prosa, che ondeggia tra rarefazione e densità simbolica, intesse una trama di rimandi e suggestioni che trasformano la vicenda personale di Yeong-hye in un prisma attraverso cui si rifrangono le molteplici sfaccettature dell’esistenza contemporanea.

Han Kang utilizza uno stile di scrittura piuttosto piana, ora asciutta ora poetica, una prosa che appare caratterizzata da una costante tensione tra minimalismo ed elevazione lirica in un’apparente contraddizione stilistica che riflette il conflitto centrale dell’opera. L’equilibrio però non è sempre perfettamente mantenuto: in alcuni passaggi, infatti, la ricercata rarefazione del linguaggio rischia di dissolvere la sostanza narrativa in una vaghezza semantica che, pur aprendo spazi interpretativi, può risultare eccessivamente indeterminata. Come nel brano seguente:

La curva del collo è molto seducente e lo sguardo è aperto e amichevole.

O apparire stilisticamente involuta, con enunciati che arrancano contorti, accartocciandosi su se stessi:

Dopo che questi le ebbe detto che non pensava si trattasse di polmonite.

Han Kang, autrice de "La vegetariana"

Le criticità più evidenti emergono nella resa dialogica, in cui l’autrice (o la traduzione) sembra aver privilegiato una letteralità che compromette la raffinatezza complessiva dell’opera. Espressioni quali “Tesoro, posso spiegarti” nel momento dell’adulterio scoperto, o la banalità di “La prego, vada fuori; sta solo rendendo le cose più difficili” nella scena in ospedale, fino agli ingenui “Al diavolo, brutta strega” o “Dannazione, è bloccato!” si configurano come scivolamenti verso un registro da melodramma televisivo. Sono formule logore, che sembrano provenire dal doppiaggio di serie americane di secondo ordine piuttosto che dalla penna di un’autrice insignita del Premio Nobel. Queste scelte (autoriali o traduttive) minano la credibilità dei personaggi e creano una dissonanza stridente con l’elevata ambizione filosofica che permea il resto dell’opera.

La forza del romanzo risiede nella capacità di trasformare una scelta apparentemente semplice – il rifiuto alimentare della carne– in una profonda meditazione sulla natura dell’esistenza umana e sui limiti della libertà individuale nella società contemporanea. Ciò detto, pur riconoscendo all’opera una innegabile densità concettuale, che attraverso una struttura polifonica esplora le tensioni primigenie tra natura e cultura, corporeità e trascendenza, conformismo sociale e libertà individuale, la lettura non è lineare, veloce. La vaghezza già menzionata finisce spesso per restituire immagini alienanti, lontane, vaghe, e talvolta confuse, non sempre lineari e fruibili, rischiando di compromettere l’efficacia del testo, generando nel lettore – sia pur dotato di adeguati strumenti interpretativi – un potenziale senso di straniamento e disaffezione che potrebbe pregiudicare il pieno apprezzamento dell’opera nella sua interezza.

Francesco Montonati

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