“Gli interrotti” di Veronica Vantini: la poesia del quotidiano

Copertina recensione gli Interrotti

Gli interrotti di Veronica Vantini (2024, BookTribu) è una silloge che esplora, attraverso uno stile evocativo fatto di immagini dense e precise, le tre età dell’uomo: infanzia, età adulta, vecchiaia. Al centro, la fragilità umana, declinata nelle sue infinite sfumature, osservata nei piccoli e grandi tormenti che attraversano l’esistenza.

La prima sezione, dedicata all’infanzia, è forse quella che raggiunge la massima potenza espressiva, dove l’autrice riesce con una scrittura sincera a catturare con rara sensibilità quel territorio inesplorato fatto di emozioni ancora sconosciute e incomprensibili. Come nel racconto “Non si fa”, in cui un bambino scopre sensazioni nuove spiando la zia mentre si strucca:

Mi avvicino e metto l’occhio nel buco della serratura. C’è un mondo che mi cattura. Zia si sta struccando. Mette del liquido sul cotone, lo passa nell’occhio con cura, poi nell’altro. Ora il suo viso è più bianco ma anche più giovane. Poi si toglie la gonna e rimane con quelle calze strane. Non le ho mai viste a mamma. Sento di nuovo il sangue alla testa che corre veloce e per un attimo ho paura.

Veronica Vantini
L’autrice del libro Gli interrotti, Veronica Vantini

In poche righe, Vantini riesce a restituire quel momento preciso di transizione, quando l’innocenza dell’infanzia inizia a incrinarsi di fronte alle prime pulsioni incomprese.
La scrittura si fa particolarmente incisiva quando l’autrice affronta le realtà più difficili, quelle al margine, dove si muovono personaggi segnati da genitori violenti, da assenze e solitudini. “Vi spiavo e disegnavo le sue urla con pastelli di scuola. Il suo sorriso quando usciva da quella stanza era immenso, e come una gonna ad ampie falde ci nascondeva sotto le tue botte”. Il racconto della violenza domestica attraverso lo sguardo straniato dell’infanzia, che trasforma il trauma in poesia. La bambina sublima il dolore attraverso l’arte, usando semplici pastelli da scuola – strumenti umili, che ricordano la sfida di cui parlava Hemingway: scrivere pagine immortali usando parole da venti centesimi. Allo stesso modo, l’autrice trasforma l’ordinario in straordinario, il dolore in gesto artistico.

I racconti, pur nella loro brevità – quasi aforistica, a volte – creano una galleria di istantanee di umanità che rimangono impresse. Come lampi che illuminano vite ai margini, questi frammenti narrativi riescono a far affezionare il lettore ai personaggi, lasciando spesso il desiderio di saperne di più, di vedere quelle esistenze svilupparsi in narrazioni più ampie. “

Il vento è impazzito e si sta mangiando a pezzi la città.

Con frasi evocative l’autrice allarga il suo sguardo poetico sulla realtà. Canta con l’anima, quando cavalca sul dorso dell’emozione istintuale, quando si specchia senza paura nelle vite che racconta. Ed è in questi momenti che la sua scrittura raggiunge vette di sincerità espressiva che colpiscono il lettore, lasciandolo con la sensazione di aver spiato, attraverso il buco della serratura, frammenti di vite autentiche. Interrotte, ma non per questo meno significative.

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