Invitata dal direttore del Salone del Libro di Torino Nicola Lagioia, giovedì 14 ottobre 2021 la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, autrice del romanzo Metà di un sole giallo, ha tenuto il discorso di apertura del 33° Salone, il primo dopo il lungo blocco imposto dal Covid-19 e dalle misure restrittive per contenerlo.
Vita Supernova è il tema di questo 2021, l’esplosione di una stella intesa come forza creativa, come luce, ma anche come potenza distruttiva con la quale fare i conti. Il tutto con un omaggio a Dante nel 700esimo anno dalla sua morte.
Adichie parla dei suoi sogni, delle sue speranze per il mondo post-Covid. Uguaglianza, senso critico ed empatia i valori fondanti di questa nuova umanità, un mondo che legge e in cui i social spariscano per sempre.
Al netto di qualche concessione alla retorica (un po’ troppo inattaccabile e condivisibile rispetto a quello che ci si aspetta da lei) ho pensato che il discorso potesse essere di interesse e valesse la pena trascriverlo e condividerlo. Di seguito il testo integrale dell’intervento. La traduzione è mia, ho fatto il possibile per restituire il suo senso e la sua intenzione.
«Pensando al tema di questo Salone del Libro, la Supernova, l’esplosione di una stella, ho pensato a un’esplosione di idee, di possibilità, di sogni, e ho pensato a come avrei voluto che fosse il mondo post-Covid.
La pandemia ha mostrato a tutti noi le lacune della nostra società. Le diseguaglianze sono aumentate, così come la violenza domestica, principalmente, se non esclusivamente, esercitata dagli uomini contro le donne. Mariti, fidanzati, amici che picchiano, aggrediscono e a volte uccidono donne. Violenze aumentate esponenzialmente durante la pandemia. Abbiamo anche potuto renderci conto di come nelle nostre società le donne abbiano spesso lavori poco retribuiti.
La pandemia ha mostrato i Paesi del mondo come bambini in un parco giochi che rifiutano di condividere i loro giocattoli pur sapendo che la condivisione sarebbe meglio per tutti.
La risposta internazionale alla pandemia avrebbe dovuto essere un miglior coordinamento a livello globale (e per globale non intendo un singolo approccio occidentale imposto a tutto il globo). Certo, stiamo tutti imparando a conoscere il virus giorno dopo giorno, ma è anche emerso un nazionalismo insidioso che ha diffuso l’idea che la propria nazione venga prima delle altre, i propri confini prima degli altri, e così via. Questo nonostante sia stato da subito palese che il virus non conosce confini, e che se tutto il mondo avesse accesso al vaccino tutto il mondo ne trarrebbe beneficio. Basta infatti che una sola persona abbia il virus perché questo si diffonda.
Io sogno un mondo post-pandemico che abbia meno di questi io io io e più noi noi noi.
Non lo vedo come un atteggiamento idealistico, anche se l’idealismo è una bellissima cosa. Il cambiamento collettivo è il modo più pratico e logico per risolvere un problema globale, e la pandemia ha reso evidente quanto siamo interconnessi gli uni con gli altri. Ha dimostrato che non ci si può chiudere in isolamento per sempre. A proposito, tanto per capire quanto siamo globalmente connessi: il primo contatto documentato in Nigeria con il virus l’abbiamo avuto attraverso un italiano. Noi Nigeriani dovremmo esservene grati (sorride).
La pandemia ci ha mostrato quanto siamo fragili, quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri. Non parlo solo di macro livelli, i governi, ma anche di micro livelli, le relazioni interpersonali. Tutti quegli amici e parenti che ho sempre considerato irritanti, improvvisamente durante il lockdown, quando non potevo vederli, mi sono ripromessa di non chiamarli più così. Probabilmente continuerò a pensare che siano irritanti, ma ho capito quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri, quanto la nostra umanità sia rafforzata dall’umanità delle altre persone.
Ci sono moltissime preoccupazioni che io considero importanti per il futuro del genere umano. La mancanza di uguaglianza (genere, razza, classe), l’ambiente, l’intelligenza artificiale… Ma ciò che più mi preoccupa è la possibile morte del pensiero critico e dell’empatia.
In che modo sono collegati questi due aspetti?
Sono connessi perché abbiamo bisogno del pensiero critico per vivere l’empatia, per recepire le idee, per poterle soppesare, dissezionare e valutare, per poter vedere l’altro. Colum McCann ha detto che leggere un libro è come vivere nella pelle di qualcun altro. Ecco, per me questo è il punto in cui si fondono pensiero critico ed empatia. Vivere in un corpo che non è il tuo. Ascoltare la storia di un’altra persona. Vedere davvero l’altro. Il pensiero critico e l’empatia cambiano il modo in cui affrontiamo ogni cosa.
Sono qui, come tutti, con la mia tendenziosità e le mie convinzioni. Sono una scrittrice di fiction e racconto storie di finzione. La letteratura è la mia religione, il mio unico vero amore. La lente attraverso la quale guardo il mondo. Leggo per trovare consolazione, leggo per sentirmi meno sola al mondo, leggo per allargare la mia conoscenza, leggo per sapere. Do molta importanza alla letteratura, e nel mondo post-Covid che vorrei la lettura ha un ruolo fondamentale, la gente si esalta per l’uscita di un libro, e non perché il libro è diventato un film ma perché il libro è stato prodotto. Adesso la gente si esalta perché esce un film, ma raramente per la pubblicazione di un libro.
Sogno un mondo in cui le persone leggono. Perché le persone che leggono saranno più coinvolte nella lotta civica e sapranno riconoscere le notizie vere da quelle false. Per quanto brillanti fossero, non sono stati I dialoghi di Platone a insegnare agli antichi greci a vivere in modo etico e civile, ma la narrazione epica. Lo storytelling. La letteratura parla di umanità universale. Da ragazza ho letto i grandi autori russi, ma se qualcuno avesse chiesto a Dostoevskij o a Turgenev per chi scrivessero i loro libri non penso che avrebbero risposto indicando una persona come me. Eppure ho trovato in loro un’umanità universale. E quando Dubuois nel periodo del peggior razzismo leggeva Shakespeare e diceva: “Sono qua e leggo Shakespeare e lui non aggrotta le sopracciglia quando io lo leggo”, be’, questo è ancora un segno dell’umanità universale.
Vi voglio raccontare una storia su un autista che mi è venuto a prendere in un aeroporto negli Stati Uniti, qualche anno fa. Doveva portarmi a ritirare una laurea ad honorem presso un prestigioso College. Era un uomo bianco, molto amichevole, forse un po’ troppo, e mi ha chiesto cosa facessi per vivere. Gli ho risposto che ero una scrittrice. Lui ha detto: Io non leggo libri. Ma anche se li leggessi non leggerei mai nessuno dei suoi libri.
L’ho trovato sociologicamente interessante, e onesto. In quanto donna, e nera, secondo lui non avrei potuto scrivere nulla che gli sarebbe interessato. Ma io leggo libri di uomini bianchi, uomini neri, donne asiatiche, donne nere, insomma, di tutti. Quell’autista mi ha fatto pensare che chiudiamo il nostro cervello ad alcune possibilità. Un esempio: la fantascienza. Ci ho provato. L’ho letta. Non mi piace. Ho la mente chiusa alla fantascienza. Ecco, in questo mondo post-Covid spero che potremo ancora essere aperti, pronti a essere sorpresi, pronti ad avere nuovi collegamenti tra di noi. Pronti a essere sorpresi dalle sorprese.
Un altro aneddoto. Riguarda un amico, questa volta. Viene dall’Europa occidentale, un Paese che non menzionerò. Subito dopo la pubblicazione del libro di Michelle Obama mi ha detto che ne avrebbe regalata una copia a ognuna delle sue amiche. E io gli ho chiesto: Perché solo alle tue amiche? Perché non compri il libro anche per i tuoi amici? Lui mi ha guardato sorpreso. Il memoir di Michelle Obama è un bel libro, onesto. E penso che tutti possano trarre beneficio dalla sua lettura. Questo amico è un uomo buono e gentile, che crede nell’uguaglianza e nelle qualità di uomini e donne, ma per lui le storie di donne appartengono a un altro universo rispetto al suo. L’universo femminile. Lui non legge libri di autrici, il mio è probabilmente l’unico che ha letto – e non sono del tutto certa che l’abbia letto fino in fondo.
Sappiamo attraverso degli studi che in genere gli uomini leggono i libri scritti da uomini. E che le donne leggono donne e uomini. Le donne hanno familiarità con le storie degli uomini, forse perché di solito pensiamo al maschile come all’universale, al neutro. Spesso quando diciamo l’uomo intendiamo il genere umano o quando diciamo “ciao ragazzi” potremmo volere dire ciao a tutti, maschi e femmine; immaginate se facessimo lo stesso dicendo “ciao ragazze”.
Nel mio mondo post-Covid gli uomini leggono per la maggior parte libri scritti da donne. Penso che questo possa migliorare la comunicazione tra uomini e donne. Ottimisticamente penso anche che se gli uomini leggessero, in maniera costante, per i prossimi 50 anni libri scritti da donne, potrebbe diminuire anche la violenza contro le donne, a oggi una vera epidemia in ogni parte nel mondo. Leggendo storie di donne l’uomo potrebbe acquistare familiarità con l’esperienza femminile, con l’universo femminile. È molto più difficile mettere in atto un abuso contro qualcuno che ritieni uguale a te.
Credo che non abbiamo familiarità gli uni con gli altri, e che la familiarità nasca anche dalla conoscenza, dal racconto delle storie. Sogno un mondo post-Covid in cui ci sia un miglior equilibrio di familiarità, in cui ci si faccia carico della responsabilità di essere onesti e trasparenti, e si resista alla tentazione di vedere solo quello che si vuole vedere. Sogno un mondo in cui i social media, e gli algoritmi spariscano per sempre. È di questi giorni la notizia di Facebook. Non penso che Facebook abbia agito con malizia, penso che sia stato soltanto indifferente. L’indifferenza a volte può essere peggiore della malizia. C’è l’indifferenza alla base dell’affermazione del sistema capitalistico oggi applicato. Sogno un mondo in cui si ripensi il capitalismo. Come sarebbe questo sistema se si smettesse di usare la crescita come unica misura del proprio successo e come criterio si usasse invece il benessere umano? Certo, anche la crescita. Ma una crescita in senso più umano. Cosa succederebbe se le grandi corporazioni includessero nei posti di lavoro gli asili come includono i parcheggi e le macchinette del caffè? E se si accorgessero che il lavoro a distanza può valere più di quello presso la sede? Il capitalismo a cui siamo abituati non è più sostenibile.
Qualcuno dice che questo è un pensiero troppo radicale, che non funzionerà mai. Ma il nostro progresso come esseri umani è esso stesso frutto di cambiamenti radicali. Prima che Galileo Galilei usasse il telescopio per osservare il cielo, ad esempio, le migliori università europee insegnavano ai propri studenti che lo spazio ruotava attorno alla terra, che la terra era il centro di tutto. Galileo pagò caro per le sue idee, ma la sua teoria era corretta e ha cambiato il corso della storia e il modo di pensare dell’umanità da lì a venire. Il pensiero cambia, viene rielaborato, e penso che noi con la letteratura possiamo contribuire a questo cambiamento.

A volte mi chiedo che cosa penseranno di noi le generazioni future – posto che ce ne saranno, di generazioni future e che gli esseri umani sopravviveranno. Come ci valuteranno? Magari ci ricorderanno come quelli che avevano una capacità di attenzione limitata. La mia capacità di attenzione, ad esempio, è molto più bassa rispetto a quando ero più giovane. Mi immergevo in un libro e ne ero completamente assorbita. Adesso non riesco più a stare così concentrata, forse perché leggo 4 o 5 libri allo stesso tempo, o perché sto invecchiando, o forse perché anch’io sono stata colpita da quel germe che ha colpito la nostra generazione, il germe della minore e più breve capacità di attenzione.
Sogno perciò un mondo in cui il nostro focus di attenzione duri più a lungo e in cui ognuno di noi sia obbligato a stare per un po’ lontano dai social media in favore magari di un libro o di un testo lungo, che abbia una corretta punteggiatura.
Credo che il bisogno umano più forte sia di essere visti. Di essere riconosciuti, amati, trattati con dignità. Vogliamo che i nostri piani siano consentiti. Vogliamo migliorare e fare meglio. Ma sono perplessa, perché vedo la nostra generazione sempre pronta a pontificare su cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma incapace di afferrare cosa sia vero e cosa non lo sia. Sogno un mondo in cui la gente sia meno disposta a pontificare su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato ma che sia in grado di capire cosa è vero e cosa è falso.
Credo davvero nel sogno, nella possibilità di rifare un mondo, nella possibilità di ricostruire il mondo attraverso il sogno. Forse perché sono una scrittrice di fiction. Fare lo scrittore di romanzi a volte è un atto di fede, è immaginare, è sognare. Penso che la letteratura e la letteratura con la pandemia abbiano ricordato agli esseri umani cos’è l’incertezza. Cose che non ritenevamo possibili sono accadute. Non conosciamo il domani e non possiamo conoscerlo. Ma c’è qualcosa di bello nell’abbracciare questa consapevolezza, nel fare pace con questa imprevedibilità. Siamo liberi di sognare, perché l’umanità non saprà mai cosa l’aspetta.
Voglio chiudere questo mio intervento con qualche riga dalla poesia Song di Louise Glück.
Il poema finisce con le parole:
Ah, dice. Stai sognando ancora.
E io dico: Sono contenta di continuare a sognare. Il fuoco è ancora acceso».
Per concludere, il testo integrale della poesia citata da Chimamanda Ngozi Adichie.
“Song” by Louise Glück.
Leo Cruz makes the most beautiful white bowls;
I think I must get some to you
but how is the question
in these times
He is teaching me
the names of the desert grasses;
I have a book
since to see the grasses is impossible
Leo thinks the things man makes
are more beautiful
than what exists in nature
and I say no.
And Leo says
wait and see.
We make plans
to walk the trails together.
When, I ask him,
when? Never again:
that is what we do not say.
He is teaching me
to live in imagination:
a cold wind
blows as I cross the desert;
I can see his house in the distance;
smoke is coming from the chimney
That is the kiln, I think;
only Leo makes porcelain in the desert
Ah, he says, you are dreaming again
And I say then I’m glad I dream
the fire is still alive