Libri che non vincono premi: cosa possiamo imparare da loro   

Quante volte abbiamo sentito parlare di Strega, Campiello, IoScrittore e chi più ne ha più ne metta. I premi letterari catturano l’attenzione dei media, riempiono le vetrine delle librerie e guidano spesso le nostre scelte di lettura. Ma cosa succede a tutti quei libri – la stragrande maggioranza – che non hanno mai vinto e forse mai vinceranno? Sono davvero poco meritevoli o hanno qualcosa da insegnarci che va oltre i riconoscimenti ufficiali? Spoiler: la seconda.

I premi non sono l’unica misura del valore letterario

Appare piuttosto evidente. La storia della letteratura è piena di esempi illuminanti in questo senso: Franz Kafka non ha mai ricevuto un premio importante durante la sua vita, eppure è considerato uno dei più grandi scrittori del ventesimo secolo. Il Grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald, ora considerato un capolavoro della letteratura americana, ha ricevuto recensioni tiepide alla sua pubblicazione e venduto meno di 20mila copie prima della morte dell’autore – certo, viene da dire, ci metterei la firma; ma non è questo il punto.

Questi esempi (e sono innumerevoli i casi analoghi) ci ricordano che il valore di un libro non può essere misurato solo dai riconoscimenti ricevuti. Nessun premio può quantificare il valore della connessione che un libro è in grado di stabilire con i propri lettori, nessuna giuria sarà così oggettiva da giudicare senza preconcetti o che i gusti personali ne influenzino il giudizio. È umano.

Se fai mente locale, sono molti i libri che hai amato, che magari non hanno passato la selezione di una giuria. Va considerato anche che i meccanismi interni dei concorsi non sono sempre tra i più trasparenti. In alcuni di questi, grandi gruppi, interessi, lobby, si scontrano dietro le quinte, e il libro che vediamo levare al cielo dall’autore di turno accompagnato da un sonoro brindisi molte volte è il frutto di giochi diplomatici. Non il migliore.

Ma se i premi non sono l’unica misura del valore letterario, allora cosa rende davvero un libro speciale?

Ogni libro ha il suo pubblico

Non tutti i libri nascono per conquistare giurie di critici prestigiosi. Alcuni sono scritti per parlare direttamente al cuore del lettore, per rispondere a domande che bruciano nell’anima, o più semplicemente per intrattenere e far sognare.

Generi come il romance, il fantasy, o la narrativa di genere raramente trovano spazio nelle cerimonie dei grandi premi, eppure continuano a vendere migliaia di copie e a creare comunità appassionate di lettori fedeli. Opere che non cercano l’approvazione dell’establishment letterario, ma costruiscono ponti invisibili tra persone che condividono le stesse passioni.

Per esperienza ti dico che un buon editor sa riconoscere il valore di queste opere e lavora per affinare il manoscritto, per renderlo al meglio delle sue possibilità, non per compiacere i gusti di una giuria, ma per raggiungere con più efficacia il pubblico cui è destinato. Del resto, non esistono libri per tutti, ma forse libri perfetti per qualcuno.

La bellezza dell’autenticità

C’è qualcosa di profondamente toccante nei libri che non inseguono la perfezione formale, ma si concentrano sul raccontare storie autentiche con una voce unica e personale. E ahimè sono sempre più rari i casi in cui un autore scriva per dare autentica voce a istinti primordiali che lo muovono, invece che limitarsi a seguire il trend stilistico del momento. Per questo si leggono tanti libri senza una vera voce autoriale, tante storie in cui è l’autore che muove i personaggi in giro per una trama scalettata e stringente, dotata di tutti i punti drammaturgici predeterminati, ma senza anima. Senza guizzi. E sono tanti. Ma per fortuna non tutti.

Si pensi ad autori e autrici come Elena Ferrante, che prima di diventare un fenomeno globale ha conquistato i lettori con la sua rappresentazione cruda e sincera dell’amicizia femminile e che, candidata per ben due volte al Premio Strega, non l’ha mai vinto. O a scrittori come Charles Bukowski, la cui prosa grezza e imperfetta è diventata il suo marchio di fabbrica, legame diretto con generazioni di lettori che si sono riconosciuti e si riconoscono nella sua autenticità, e di premi neanche a parlarne. O, ancora, parlando nel dettaglio di opere, il libro Mandíbula della talentuosa scrittrice equadoriana Mónica Ojeda, finalista ai prestigiosi National Book Awards 2022 nella categoria di letteratura tradotta. Indovina? No, non ha vinto. Ed è lecito chiedersi come mai.

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I premi sono una fotografia di un momento storico

Il critico letterario Francesco De Sanctis insegnava che ogni opera non può essere analizzata in astratto, ma va contestualizzata, compresa all’interno del suo contesto storico-culturale; così anche le giurie dei premi letterari operano con lo stesso principio, lasciandosi influenzare dallo spirito del loro tempo. Con una differenza sostanziale, però. Mentre De Sanctis usava la prospettiva storica per arricchire la comprensione dei testi, le giurie spesso la trasformano in un filtro che premia principalmente ciò che rispecchia le preoccupazioni e i gusti, i valori estetici del momento, generando così un paradossale effetto limitante.

Questa tendenza a favorire opere in sintonia con l’attualità finisce per lasciare ai margini tutti quegli autori che osano sperimentare, che anticipano sensibilità future o che recuperano stili dimenticati. Autori che, ironia della sorte, sono proprio quegli scrittori “fuori/senza tempo” che – la storia della letteratura ce lo dimostra – potrebbero creare opere immortali, proprio perché il loro valore potrà essere pienamente apprezzato solo in un contesto storico-culturale che ancora deve venire. Si pensi a Dino Campana, con la sua raccolta Canti Orfici, ignorata mentre era in vita, e oggi considerata un capolavoro della poesia italiana del Novecento.

Ma cosa rende un libro “immortale”? Cosa fa sì che un’opera continui a parlare ai lettori attraverso decenni o secoli?

Intendiamoci, non stiamo sostenendo che il bel Paese sia pieno di talenti incompresi e che la Penisola pulluli di Pirandelli e Pavesi ancora da scoprire. Siamo solo a ricordare che è nella capacità di toccare qualcosa di universale, di scavare nelle profondità dell’esperienza umana che risiede il segreto della longevità letteraria. Testi che, pur nascendo in un contesto preciso, riescono a trascenderlo, parlando di emozioni, conflitti e domande ancestrali, istintuali, fondamentali che accompagnano l’umanità in ogni epoca. Pensiamo a Shakespeare, con le sue tragedie ancor oggi tassativamente inserite nei palinsesti teatrali, che dal 1600 a oggi trovano una connotazione fortissima in ogni epoca in cui sono lette o messe in scena. Forse è proprio questa la differenza: mentre i premi fotografano la funzionalità di un testo in un determinato momento, i classici immortali catturano ciò che rimane immutato nel costante fluire del tempo. Esistono ancora editori o riviste letterarie (come la nostra ProelioLab) che sanno riconoscere questi semi di eternità in un manoscritto acerbo, e editor professionisti in grado di aiutare l’autore a coltivarli fino a farli fiorire. Più raro, invece, che accada in una giuria di premio letterario.

Il vero premio è creare una connessione con il lettore

È vero, non potrai addobbare il tuo salotto con una coppa, una targa o una bottiglia di liquori. Ma il premio non è sempre qualcosa di fisico. Ho lavorato, una volta, con una scrittrice di 92 anni, ex giornalista Rai che aveva fatto della scrittura la sua vita, ma non si era mai cimentata in un romanzo. Era titubante sul futuro e sull’accoglienza da parte dei lettori. Addirittura sul completarlo o meno. Abbiamo lavorato sodo all’editing e dopo aver pubblicato il romanzo, l’autrice ha ricevuto una lettera da una lettrice. La lettera diceva: “Il tuo libro mi ha fatto sentire meno sola”. Non c’è premio al mondo che possa eguagliare il valore di queste parole, mi ha detto l’autrice. E ne sono convinto anch’io.

Perché, alla fine, è questo il motivo per cui scriviamo e leggiamo: per condividere esperienze, per espandere i nostri orizzonti, per sentirci meno soli nel nostro viaggio attraverso la vita. Un libro che riesce a creare questo tipo di connessione ha già vinto il premio più importante che esista. Anche se solo una persona grazie al nostro libro riesce a chiudere gli occhi e a vivere un’esperienza altra dalla sua routine è già un immenso regalo che facciamo come autori, e che ci facciamo come persone. Troppo spesso non ci soffermiamo a pensarci inglobati in una logica di vendite, di premi, di riconoscimenti, di apparizioni televisive. Ma scrivere non è questo. Scrivere è non pensare ad altro che a tirare fuori quello che ci brucia dentro.

Pensa al libro che ti ha influenzato di più nella vita. Quello che ti ha fatto piangere, ridere, o che ti ha fatto vedere il mondo con occhi nuovi. Certamente ciò che lo rende speciale non è un bollino dorato sulla copertina, ma quanto profondamente è risuonato con la tua esperienza personale.

E visto che lo abbiamo citato, ricordiamo anche le sue parole.

Charles Bukowski – E così vorresti fare lo scrittore?               

E cosi vorresti fare lo scrittore?
Se non ti esplode dentro
a dispetto di tutto,
non farlo.
A meno che non ti venga dritto dal
cuore e dalla mente e dalla bocca
e dalle viscere,
non farlo.
Se devi startene seduto per ore
a fissare lo schermo del computer
o curvo sulla
macchina da scrivere
alla ricerca delle parole,
non farlo.
Se lo fai per soldi o per
fama,
non farlo.
Se lo fai perché vuoi
delle donne nel letto,
non farlo.
Se devi startene lì a
scrivere e riscrivere,
non farlo.
Se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
Se stai cercando di scrivere come qualcun altro,
lascia perdere.
Se devi aspettare che ti esca come un ruggito,
allora aspetta pazientemente.
Se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos’altro.
Se prima devi leggerlo a tua moglie
o alla tua ragazza o al tuo ragazzo
o ai tuoi genitori o comunque a qualcuno,
non sei pronto.
Non essere come tanti scrittori,
non essere come tutte quelle migliaia di
persone che si definiscono scrittori,
non essere monotono e noioso e
pretenzioso, non farti consumare dall’auto-compiacimento.
Le biblioteche del mondo hanno
sbadigliato fino ad addormentarsi
per tipi come te.
Non aggiungerti a loro,
non farlo.
A meno che non ti esca
dall’anima come un razzo,
a meno che lo star fermo
non ti porti alla follia o
al suicidio o all’omicidio,
non farlo.
A meno che il sole dentro di te stia
bruciandoti le viscere,
non farlo.
Quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da sé
e continuerà
finché tu morirai o morirà in te.
Non c’è altro modo.
E non c’è mai stato.

Una riflessione finale

Se sei uno scrittore o una scrittrice con un testo in lavorazione, ricorda che non scrivi per vincere premi, ma per connetterti con i lettori. Per condividere la tua voce unica, la tua storia, la tua visione del mondo. Questo è ciò che conta davvero. Non cercare di imitare lo stile che pensi possa farti vincere premi, o peggio, farti vendere più copie. Sii coraggioso, fiero e fedele alla tua visione, alle tue esperienze, alla tua verità. È questa autenticità che può davvero creare una connessione intima con chi ti leggerà.

E se hai bisogno di una guida nel tuo percorso per dare forma a questa connessione, per affinare la tua voce senza snaturarla, ricorda che un editor non è solo qualcuno che corregge errori grammaticali. È un primo lettore, un alleato, qualcuno che crede nel potere delle tue parole e vuole aiutarti a farle brillare della luce più autentica possibile.

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