È per certi versi un testo strabiliante. Nonostante una trama semplice, povera di eventi, tiene il lettore incollato. Molti i temi sfiorati: il sempre attuale conflitto tra ebrei e arabo palestinesi, l’accettazione del diverso, l’emarginazione sociale, l’amore. Ma la vera forza del libro è il trascinante protagonista: il giovane Momò.
Lo scrittore lituano naturalizzato francese Romain Gary pubblicò “La vita davanti a sé” sotto pseudonimo nel 1975, il romanzo fu subito accolto con favore dalla critica, tanto da meritarsi il premio Goncourt dello stesso anno.
Le banlieue della periferia parigina sono affollate da stravaganti e poetici personaggi (immigrati, puttane, protettori, travestiti ecc.), ed è qui, in questa colorata quanto spigolosa ambientazione, che Momò trascorre le sue giornate. Abita in un appartamento al sesto piano, rifugio per bambini figli di genitori assenti, quando conosciuti, e di prostitute il più delle volte. Madame Rosa – ex-prostituta, scampata alla deportazione al campo di concentramento di Auschwitz – è l’anziana che si prende cura di loro, previo pagamento di una pigione.
Momò non ha mai conosciuto i genitori, ha una decina di anni (non lo sa neanche lui con certezza), e un carattere aperto. Le sue convinzioni e il suo modo di intendere la vita sono quelli di un orfano mezzo randagio, con fratelli sporadici e opportunisti, capace nonostante tutto di conservare uno spiccato spirito positivo. Il suo vivace approccio al mondo e al diverso e il suo linguaggio distratto e spumeggiante. Il suo maturare quotidiano e inconsapevole. È questo ad attrarre il lettore fin dalle prime pagine e a tenerlo incollato fino alla fine.
All’inizio il suo rapporto con Madame Rosa è quasi conflittuale, lei che rappresenta l’autorità, che determina i divieti e li fa rispettare. Lo vediamo mutare, subire una metamorfosi che giorno dopo giorno un affetto innato camuffato da rassegnazione condurrà all’inversione di polarità. Sarà Momò alla fine ad accudire l’anziana, a chiamare il medico per lei, a proteggerla dal destino malvagio a cui il dottore, pur con le migliori intenzioni, vorrebbe condannarla: “diventare la campionessa di resistenza a una vita da vegetale”.
Aspetto determinante del libro è la voce narrante. Il registro linguistico sapientemente involuto a ricordare voce e pensieri di un ragazzino non molto istruito ma sprizzante energia vitale, che miscela l’ingenua spavalderia della gioventù con una sensibilità rara.
I vecchi valgono come tutti gli altri, anche se calano. Sentono quello che sentiamo voi e io e certe volte questo li fa soffrire ancora più di noi perché non si possono più difendere.
La vita davanti a sé è un testo sincero, che in alcuni momenti ricorda il romanzo di J.D. Salinger Il giovane Holden in un’inaspettata trasposizione di contingenza dai college e dai parchi newyorkesi alla realtà delle Banlieue, sì cruda e appesa ma pulsante di vita.
Un libro di formazione spumeggiante, amaro e poetico che vale la pena leggere.
Il film mi è piaciuto molto , il ragazzo è la donna si sono capiti si sentivano al sicuro l’uno con l’altro e si proteggevano e alla fine quando il ragazzo mise la foto sulla sua tomba è la mia parte preferita perché racconta cosa la donna fosse per lui .
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Ciao Caterina! Sì, in effetti la trasposizione cinematografica di un libro ben riuscito è sempre un rischio. Forse è per questo che il film non l’ho visto. Però, se mi dici che ne vale la pena, proverò a guardarlo…
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