È complicato parlare di Jack London e della sua scrittura senza accennare alla sua vita che, notevole e certamente non comune, influisce in maniere ineludibile sulla sua scrittura, dai temi trattati al modo di raccontare le sue storie.
Tempo fa era considerato un classico autore per ragazzi, insieme a Robert Louis Stevenson e Rudyard Kipling, suoi predecessori, con i loro romanzi avventurosi. I suoi libri forse più famosi – Il richiamo della foresta e Zanna bianca – hanno in comune il punto di vista di un animale, un cane. Forse per questo, con opportune “riduzioni”, come le chiamavano all’epoca, alle scuole medie i libri erano tra le scelte della biblioteca scolastica. Riduzioni, tagli che alleggerivano il peso fisico del libro e le parti meno adatte ai più giovani. Soprattutto le scene violente.
Non che questo ne sminuirebbe il valore, ma Jack London è stato anche molto altro, oltre che un autore per ragazzi. La sua letteratura è apprezzata a livello mondiale da un pubblico ben più adulto di quello a cui era destinato, e rispecchia il modello esistenziale multiforme di London. In essa possiamo leggervi la sua vita, errabonda come lui, e comprende romanzi, saggi, articoli, poemi e racconti, delle più svariate tematiche.
Coerente con il suo motto – esci e vivi esperienze autentiche, che sfidano e cambiano la vita, e scrivi su di esse –, London, come le sue storie, è stato molte cose: vagabondo senza tetto, pirata (ladro) di ostriche, corrispondente e fotoreporter di guerra in Manciuria nel conflitto russo-giapponese, proprietario di un ranch, bidello, cercatore d’oro, velista, marinaio e socialista militante.
Una vita pregna che influenza la scrittura.
Quando London nasce, nel 1876, gli Stati Uniti hanno solo cento anni (è l’anno della Battaglia diLittle Bighorn, per intenderci) e in questo senso si può affermare che l’autore cresce insieme all’America moderna. È il periodo in cui milioni di persone vi si trasferiscono, in cui si sviluppa l’architettura verticale, i grattacieli, per ottenere una maggiore capienza su aree meno estese. La produzione industriale ha un’impennata storica, e industriali e banche la fanno da padrone.
Jack London nasce a San Francisco, in un contesto sociale molto povero, il sottoproletariato, e la sua vita, almeno fino ai vent’anni, è piuttosto faticosa, disorganica e capricciosa.
Appena rimasta incinta, la madre, che di lavoro fa la cartomante, è abbandonata dal padre di Jack, e tenta prima di abortire e poi di spararsi in testa, pur di non dare alla luce il figlio. Jack cresce in un contesto di povertà, di rinunce, e privo di affetto; la madre lo chiama “il marchio della mia vergogna” e lui non conoscerà mai suo padre.
Jack passa da un mestiere a un altro e a 14 anni lascia la scuola per lavorare in un conservificio – oltre un milione e mezzo di bambini si trova nella sua situazione, la regolamentazione del lavoro minorile arriverà solo nel 1938.
Nel 1893 si imbarca su una nave per la caccia alle foche e al ritorno, per partecipare a un concorso del quotidiano The San Francisco Call scrive il suo primo racconto: “Storia di un tifone al largo del Giappone”(Typhoon Off the Coast of Japan), raccontando di una tempesta realmente vissuta durante quel viaggio.
Dopo un arresto per vagabondaggio e dopo aver frequentato le peggiori compagnie della società, London decide finalmente di voler migliorare il suo stato ed emergere dal “decimo sommerso”, quel submerged tenth teorizzato da William Booth. È in questo periodo che frequenta l’High School – fa il bidello per pagarsi la retta – e ha la possibilità di attingere a volumi di filosofi quali Karl Marx, Herbert Spencer e Charles Darwin, rendendosi conto che “altre menti più grandi di me avevano elaborato ciò che io solo pensavo”. Erano i principi del socialismo, partito al quale si iscrisse e in cui militò attivamente tenendo diversi discorsi politici a Oakland (CA). Nel 1896 entra alla Barkley University ma lascia dopo soli sei mesi: è iniziata la corsa all’oro, e lui parte per il Klondike.

Tralasciamo in questa sede il racconto del resto della sua vita per concentrarci sui fatti più significativi nel contribuire a formare le caratteristiche del suo modo di scrivere e conferirgli quella voce nuova e quel suo modo diverso di vedere le cose che apriranno una breccia d’entusiasmo del pubblico e della critica.
Un’infanzia priva di certezze, tra bettole e ladri, a sgomitare per un pezzo di pane, a lavorare bambino, in cui l’unico svago era la lettura – una letteratura per ragazzi, d’avventura. Le pulsioni dettate dal più basso istinto di sopravvivenza da una parte e un fortissimo desiderio di rivalsadall’altra. Rivalsa sociale, ma soprattutto economica. Perché Jack London era sì socialista, ma non disdegnava le possibilità che il denaro poteva offrire.
Tra il 1900 e il 1916 ha scritto più di 50 romanzi, centinaia di racconti e innumerevoli articoli. Impossibile qui, in poche righe, trattare di tutta la sua produzione. Prendiamo come esempio significativo il romanzo che è considerato il suo capolavoro.
THE CALL OF THE WILD – Il richiamo della foresta.
Come accennato, alla fine dell’ottocento in Alaska era iniziata la corsa all’oro – la Gold Rush. E Jack London, sempre desideroso di nuove esperienze (e dei soldi che in caso positivo l’impresa avrebbe procurato), è partito per quel viaggio infernale. Al ritorno, carico di tutte le esperienze vissute, ha scritto il romanzo. Era il 1903 e aveva 27 anni, e in questo testo ha forse riversato la storia della vita che fin lì aveva vissuto.
Buck, il protagonista, è un cane dai pensieri umanizzati che passa da uno stadio di cattività civile a uno di libertà selvatica. Un narratore che scopre il mondo palmo dopo palmo, esperienza dopo esperienza.
Cercavano cani robusti, dal pelo folto per proteggersi dal freddo siderale del grande Nord. Buck, pur essendo un cane domestico che viveva nella grande e assolata proprietà del Giudice Miller, era adattissimo per lo scopo.
Rubato, infagottato e portato lassù, Buck si trova a vivere un’esperienza inaspettata e ferocemente dura. Viene messo a tirare le slitte dei cercatori d’oro, uomini disperati nella cui personalissima scala di valori gli scrupoli verso gli animali vengono molto dopo il sostentamento minimo vitale e la realizzazione del proprio obiettivo.
Iniziano per Buck giorni di sofferenza, di lotte, di botte, di fame. Impara la legge del bastone, per cui è l’uomo che comanda, finché ha il bastone. La legge del branco, mordi o sarai morso. E in questo allontanamento dalla civiltà, dai valori a cui era abituato nella società civile – dell’uomo – inizia a riscoprire ciò che le abitudini di quella società gli avevano fatto addormentare dentro: l’istinto. Un cammino di consapevolezza che lo porta a confrontarsi con la sua reale natura ancestrale.
Eccolo, il richiamo della foresta.

Il richiamo.
Il richiamo della foresta in originale è “the call of the wild”, dove wilderness rappresenta molto di più che “selvaggio” o “foresta”. Per wilderness si intende un’area selvaggia, incontaminata, lontana dalla traccia umana, che al suo interno possiede e sviluppa vita e comunità. Non esiste un vocabolo italiano che ne renda alla perfezione il significato. Il wilderness non rappresenta solo la potenza e la purezza della natura, ma una dimensione di valori ancestrali e spirituali, di ricordi di esistenze primigenie altre dalla nostra. È il concetto chiave che distingue le origini dell’idea americana di natura, alla base del pensiero di autori naturalisti come Harry David Thoreau, Peter Henry Emerson e Walt Whitman.
E Jack London, ovviamente.
Nel romanzo i fatti sono riportati in maniera asciutta, precisa, scientifica, e pregi e difetti dei personaggi sono determinati dalla natura, essendo costretti a obbedire ai bisogni che la natura spietata impone. Dal primario bisogno di sussistenza al riscaldamento. La legge del più forte, della supremazia. Uccidi o sarai ucciso, mangia o sarai mangiato. Per queste caratteristiche e per la descrizione immediata, London è considerato un autore appartenente alla corrente del naturalismo americano, che è prosecutrice di quel naturalismo francese di cui Émile Zola si fa portavoce e che in Italia trova eco nel Verismo.
In alcuni momenti la sua prosa si fa alta, altissima, a raggiungere in un guizzo le vette dell’high literature, con immagini metafisiche che affiancandosi a ritratti realistici e pulsanti di vita, donano al testo una straordinaria potenza visiva ed emozionale, attraverso una poetica fatta di odori, suoni e sensazioni che entrano nella pelle come la natura che ci circonda.
C’è un’estasi che segna il culmine e, al tempo stesso, il limite della vita; e questo è l’assurdo, che l’estasi è insieme massima vitalità e oblio totale. Questa estasi, questo oblio della vita coglie l’artista, lo rapisce e lo trascina fuori di sé, in una vampa di fuoco; coglie il soldato ebbro di guerra sul campo di battaglia, nella lotta senza quartiere; e colse Buck che alla testa del branco levava l’antico urlo del lupo, teso a raggiungere quel cibo vivo che fuggiva velocemente dinanzi a lui nella luce lunare. Scopriva gli abissi della propria natura, la parte più profonda dei suoi istinti, risalendo fino al grembo del tempo. Lo dominava l’impeto della vita, la marea dell’essere, la gioia perfetta di ogni muscolo, di ogni giuntura, di ogni tendine, poiché questo era il contrario della morte, era ardore e violenza, si esprimeva nel movimento, nello sfrecciare esultante sotto le stelle e sopra le cose morte e immobili.
(Jack London, Il richiamo della foresta; trad. Davide Sapienza).
Quanto è vicino a quel Thoreau, citato anche nel film L’attimo fuggente:
Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.
(Harry David Thoreau, Walden, vita nel bosco).
Il romanzo parla della Natura. Natura matrigna. Del primordiale. Parla di istinti, di virtù, di basse pulsioni, di avidità e collera, di fame e d’amore. Di un percorso catartico, di ricerca interiore. Riduttivo giudicarlo un libro per ragazzi o di avventura. È un testo in cui ognuno di noi può trovare la sua lotta interiore, il suo viaggio, la sua personale Odissea, le ingiustizie e i contrasti che ogni giorno sono posti sul suo cammino. E se stesso.