A colpire è la distanza che il protagonista pone fra se stesso e ciò che vive quotidianamente. Uno spettatore apatico e estraneo alla propria vita. Straniero, appunto. L’incipit, entrato nella storia, dà subito la cifra del romanzo e il coinvolgimento del narratore in ciò che narra. Narrazione in prima persona, auto dialogica, ma per la distanza che Meursault tiene dalla storia sembra quasi non appartenergli. Si lascia trascinare. Dai personaggi che la animano e che lui segue con passività. Dalle donne. Una trama ineluttabile con la quale non vuole interferire. La morte capita a tutti, così come la giustizia farà sempre il suo corso. E lui, spettatore indifferente, segue lo sciorinarsi della matassa della sua stessa esistenza con il minor coinvolgimento possibile, quasi annoiato del protrarsi di alcune vicende. Come quando commenta l’atto processuale in corso ai suoi danni.
In realtà non mi dispiaceva poi molto di ciò che avevo fatto. Non capivo il perché di tanto accanimento.
Una distanza siderale, uno straniamento che si traduce in noia e ricorda i blocchi dietro i quali ognuno di noi, in certi periodi della vita, preferisce nascondersi, piuttosto che dover affrontare decisioni, o farsi carico di responsabilità o dolori troppo gravosi per essere sopportati.
Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Questo non dice nulla: è stato forse ieri.
Il tormentone “non significa nulla” è una pietra che il protagonista pone tra sé e il mondo. Un modo per astrarsi dalle prove quotidiane, dalle più semplici alle più difficili da affrontare. Come la richiesta della fidanzata Maria di una conferma del suo amore, a cui non riesce a dare soddisfazione arroccato in un costrutto di esistenziale per cui la vita non va vissuta ma semplicemente sfiorata.
Un momento dopo mi ha domandato se l’amavo. Le ho risposto che era una cosa che non significava nulla, ma che mi pareva di no.
Non conosciamo le motivazioni, vediamo solo il risultato finale di una scelta. Tornano alla mente le parole usate dal narratore in L’amore fatale, di Ian McEwan, che forse avrebbero descritto il protagonista di Lo Straniero, pressappoco così:
Come il personaggio di un sogno, vive al tempo stesso in prima e in terza persona. E come in un sogno le sue reazioni emotive sono inesistenti o inadeguate.
Il suo modo di guardare la vita, nulla significa, la morte di sua madre. Una donna che lo ama e che vuole sposarlo. Tanto da trovarsi ad uccidere un uomo come fare una passeggiata.
A questo si affianca la prosa evocativa, profonda e coinvolgente di Camus. Chi legge segue la narrazione con il fiato sospeso, provando le emozioni di cui il protagonista difetta e vivendo le reazioni che comprime dentro di sé, fino alla fine del romanzo, quando rimbrottato dal commissario prima e dal prete dopo, proprio per questa mancanza di umanità e di presenza nei fatti, esplode in un grande e liberatorio sfogo. In poche pagine una pietra miliare.