“Il randagio e altri racconti”, di Sadeq Hedayat | Recensione

Sadeq Hedayat è lo scrittore iraniano riconosciuto come il padre della letteratura persiana moderna. In Italia è (poco) noto soprattutto per il suo libro La civetta cieca (Carbonio Editore), riflessioni di un pittore sulla vita e sull’esistenza, tradotto dalla iranista Anna Vanzan, traduttrice anche di questa raccolta di racconti.

Il randagio e altri racconti, (Carbonio Editore, 2021) ci porta in ambienti cupi e surreali, dai colori denaturati, che tratteggia un Iran straniante e calloso. Distante, perché i racconti sono per lo più narrati con una distanza dai fatti che strania il lettore, che dona uno spaccato di vita ma lo tiene chiuso in una teca, da visitare quante volte uno vuole, ma col divieto di toccare di entrare, di immergersi.
Distanza indispensabile all’autore per trattare tematiche nefande, senza che il lettore interrompa la lettura perché intollerabile. Come nel caso del racconto sulle spose bambine.

La traduzione agile e moderna della studiosa Anna Vanzan (scomparsa di recente) ci restituisce una scrittura semplice e pulita, prosa della quale l’autore si serve per affondare nella società persiana dell’epoca e indagare le sue aberrazioni, accettate a forza dal popolo come cose normali, a cui ci si abitua, non potendo ribellarvisi. Grande il coraggio di Hedayat nel denunciarle, coraggio che gli è costato l’esilio in Francia, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua breve vita.
Gli oggetti inseriti nei racconti ne sono anima vitale, quasi avessero una vita propria o, con la loro presenza, rendessero più viva la scena narrata.

Il racconto che dà il titolo al libro, “Il randagio”, si stacca dal resto delle tematiche. Indaga il peregrinare umano (anche se il protagonista è un cane), quella ricerca costante di qualcosa, che rimane sempre senza soddisfazione. Oggi è un impiego, domani un partner, un padrone, un giogo. Qualsiasi cosa che ci ponga rispetto al mondo in posizione di chi subisce.
E ci si abitua anche a questo, a essere bistrattati, a prendere calci.

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