05. Stile narrativo e voce autoriale, cosa sono e come trovare i propri

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C’è differenza tra voce autoriale e stile narrativo? Lo stile è il modo in cui il narratore racconta la vicenda. La voce è il fulcro da cui parte la narrazione, la voce personale dell’autore. Lo stesso stile può essere adottato da vari autori, ma la voce autoriale è il tratto distintivo, unico per ognuno di essi, ciò che li distingue.

Ma se per gli scrittori fosse così facile farla emergere non staremmo qui a parlarne. Prendi il libro che stai leggendo e fermati a pensare. Che tipo di stile sta usando il narratore?

Autore, narratore, voce e stile: un po’ di chiarezza. Narratore e autore non sono la stessa cosa. L’autore è chi scrive, il narratore chi narra. Questo l’abbiamo capito. Il narratore stesso è un’invenzione dell’autore. E la voce narrante è la voce del narratore, colui che presiede all’atto enunciativo. Bene, il primo punto è andato.
Veniamo al successivo.

Un registro alto, sostenuto, aulico, con periodi complessi, aggettivi e parole colte e rare?

Ci appressammo a quello che era stato il posto di lavoro di Adelmo, dove giacevano ancora i fogli di un salterio riccamente miniati. Erano folia di vellum finissimo – regina tra le pergamene – e l’ultimo era ancora fissato al tavolo (Il nome della Rosa, U.Eco).

O formale. Vocaboli ricercati, accurati ed eleganti, ma senza quei virtuosismi.

Già vedeva il proprio corpo là adagiato per il lungo, in un grembo di tepore, profumato dagli oli del sapone, mollemente carezzato dall’acqua (Ulisse, J. Joyce).

Potrebbe essere un registro medio, con vocaboli di uso comune e periodi semplici.

Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere. E allora è troppo tardi, si è già in pieno dramma. Un dramma atipico dove l’eroe è la morte. A Marsiglia, anche per perdere bisogna sapersi battere (Casino totale, J. C. Izzo).

Oppure semplice basso, colloquiale, dialettale, a imitare la sintassi tipica del parlato.

Il poveretto, quando portava il suo corbello di rena in spalla, arrancava in modo che sembrava ballasse la tarantella, e aveva fatto ridere tutti quelli della cava, così che gli avevano messo nome Ranocchio; ma lavorando sotterra così ranocchio com’era, il suo pane se lo buscava; e Malepelo gliene dava anche del suo, per prendersi il gusto di tiranneggiarlo, dicevano (Rosso malpelo, G. Verga).

Ci sono vie di mezzo, ma era tanto per capirci. Questi sono chiari esempi di stile. Lo stile determina la scelta di una serie di fattori, di scelte pratiche della narrazione. Dalle parole alla costruzione sintattica, dalla focalizzazione alle figure retoriche, dall’uso delle sequenze al rapporto fra di esse.
C’è chi pensa che lo stile debba adeguarsi alla storia narrata e al target di riferimento.
C’è chi pensa che il proprio stile, per la sua unicità, valga l’acquisto del libro.
C’è chi pensa che usando il proprio stile le storie giuste arrivino da sole.
Leggendo questo post, ti sarai già fatto la tua idea. È importante che tu ne abbia una, magari influenzata da ciò che hai sentito dire da qualcuno che stimi, ma che sia tua. Avere il proprio punto di vista è il primo passo verso la scoperta della propria voce, nella vita come nella scrittura.
Se vuoi scrivere narrativa di genere dovrebbe bastare questo. Ma perché non alzare l’asticella?

Adesso che ti è chiaro cos’è lo stile, torniamo alla voce. Alcuni la chiamano tono. A me piace voce, perché la voce è sempre guidata da un tono. Adesso la tua voce vogliamo distinguerla.
Immagina i grandi romanzieri, di ognuno di loro distingui la voce. Parlando di letteratura americana prendiamo ad esempio Salinger, Steinbeck e Hemingway. Pur appartenendo più o meno alla stessa corrente letteraria e usando uno stile per certi versi simile – parole di uso comune, periodi chiari e frasi spesso brevi – ognuno di loro possiede una voce inconfondibile.
Leggi questi incipit, nota come ogni voce è in qualche modo diversa da quella di tutti gli altri e a modo suo distinguibile.

1) C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire «Ecco cos’ero prima di nascere».

2) Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Questo non dice nulla: è stato forse ieri.

3) Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce.

4) Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto.

5) Gregor Samsa, svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta del letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica.

Sono incipit molto famosi, e ognuno comunica in modo differente. Sarebbe bello se questi cinque autori avessero scritto di un fatto comune, per confrontare i loro modi di esporre. Ma anche così ci danno la misura di quanto personale sia la scrittura di ognuno di loro. A proposito, li hai riconosciuti?

1) Ci accompagna in una riflessione con delicatezza, con garbo, periodi lunghi e ondulati, usando le stesso andamento con cui è tratteggiato il territorio collinare che menziona (La luna e i Falò, C. Pavese).

2) Secco, indolente, quasi con noncuranza ci comunica la morte di sua madre. Oggi, ieri? Poco importa (Lo straniero, A. Camus).

3) Come portata dalla brezza del mare del Golfo, ci arriva notizia di questo vecchio pescatore; in una riga già ne sappiamo abbastanza da interessarci a lui (Il vecchio e il mare, E. Hemingway).

4) Si cambia genere, andiamo sul Cyberpunk. Il ritratto del paesaggio è segnato dal progresso, il cielo sul porto non è plumbeo o funereo, è come la televisione su un canale morto (Neuromante, William Gibson).

5) Qui il narratore è schifato da quello che sta raccontando e non lo nasconde. Chirurgico nella sua descrizione, non ci risparmia particolari e ci restituisce il cupo senso di vuoto che aleggia (La metamorfosi, F. Kafka).

Ogni voce è quindi distinguibile. La voce del narratore deriva dal suo sguardo sulle cose e dal suo modo di rapportarsi ad esse, al mondo, alla vita. Cambiano i vissuti, gli studi, le frequentazioni, le letture, le confessioni religiose. Tutto influisce sul proprio modo di vedere la vita e di conseguenza di raccontarla. Quando lo scrittore non ha ancora trovato la propria voce, il rischio che corre è quello di imitare la voce di un autore che gli piace, finendo per riprodurne una copia sbiadita, magari lusinghiera, ma priva di anima e di efficacia.

Quindi la prima cosa da fare è trovare la tua voce. Scorgere l’anima nella tua scrittura e fare emergere, scevra da tutto ciò che è estrano, la tua voce. Unica e distintiva. Ma non ti abbattere se non ci riesci subito. È una delle cose più difficili.

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