“Underworld”, di Don DeLillo | Mini Recensione

È un libro mondo a cui piace lasciarsi leggere. Tu, da lettore, lo leggi, vivi quei momenti e alcuni li gusti davvero. Ma sono momenti, un mosaico sconclusionato. È bellissimo, ma non sai cosa hai letto. E sono mille pagine, trovare la forza dentro di sé di finirlo, darsi uno scopo, una motivazione per perderci tutte quelle ore levandole ad altre letture che intanto sono lì, che si accumulano sul comodino, perché il tempo passa e tu passi dalle librerie e le voci girano e vuoi leggere altro, be’, riuscire a trovare la forza di finirlo è forse l’impresa più grande. Non è una fatica, ma dopo aver letto dieci pagine ti chiedi: ma che ho letto? Perché lo leggo? Perché è DeLillo? Perché è scritto indiscutibilmente bene? Sì, per questo.
C’è un solido crinale che separa la fiction literacy dilagante dal romanzo di genere, fatto e finito, con la trama semplice, e i personaggi archetipici. E se una via di mezzo  esiste, non è questo il caso. Qui siamo all’integralismo della fiction literacy.
Eppure ti trovi a chiederti, mi è piaciuto?
Sì, tanto. Lo consiglieresti? Dipende. È tanto davvero. E non lo ricorderai tutto. Come nella vita non ricordi tutto. Momenti magici, però, quelli sì, quelli ti rimangono. Positivi o negativi, non importa. I libri mondo sono così, e non è un caso, e lo si evince, che Ulisse di Joyce sia la sua opera di riferimento.

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