“Guerra e pace”, di Lev Tolstoj | Recensione

Leggere Guerra e pace è come vivere un’altra, ulteriore vita oltre alla propria, per la quantità e la varietà degli spunti di riflessione che offre. Recensire un tale capolavoro in termini di profondità e struttura è un’impresa al di fuori delle capacità umane. Vi dirò quello che ho sentito, che ho provato. Mi limiterò a questo.

Guerra e pace è un romanzo di quasi milletrecento pagine, dense e pulsanti. Territori di guerra, entrarci e camminare; marciare con loro, i soldati dell’armata russa. I cosacchi apparire di lontano, alle spalle, fra pallottole e palle di cannone che fischiano vicino agli orecchi, e tu, con il tuo cavallo, a correre verso di loro, gli artiglieri dell’armata napoleonica, con le divise turchesi, il sangue ovunque. Inaspettata, l’allegria ti pervade, un senso di appartenenza, mentre generali intontiti dagli anni si addormentano ai consigli di guerra e con noncuranza mandano giovani al macello. E l’ansia che si tramuta in esaltazione, e i sotterfugi e gli inganni fra i colpi d’arma da fuoco e lo scalpito dei cavalli e la neve che avvolge e ghiaccia i piedi e copre le pianure e senza cibo a combattere senza sapere il perché. La desolazione di una Mosca conquistata e saccheggiata. Una guerra di masse che si scontrano, in unità compatte prima e disgregate poi. Una guerra provocata da qualcosa e da qualcos’altro e sempre da qualcos’altro, una guerra a cui niente e nessuno si sarebbe potuto opporre, perché ineluttabile nella molteplicità degli eventi che l’hanno provocata.
Si perdoneranno i momenti filosofici lunghi e prolissi, di fronte a uno scenario emotivo, descrittivo e narrativo così vasto e inarrivabile.

Quelle di Guerra e pace sono pagine immortali di letteratura, in grado di cambiare i connotati del sistema primo e originario del lettore che si cimenti nella lettura, le sue convinzioni e il suo modo di vedere il mondo. Assoluto capolavoro.

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