11. Tecniche narrative: il discorso indiretto libero

Parliamo di una tecnica narrativa che ti aiuterà a esprimere i pensieri dei personaggi in modo efficace e potente. Affronteremo prima gli altri tipi di discorso per capire meglio cos’è e come funziona il discorso libero indiretto.

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Esaminiamo discorso diretto e discorso indiretto. Il narratore riporta una frase pronunciata da un personaggio.

DISCORSO DIRETTO
Il pensiero (o l’enunciato del personaggio) è riportato integralmente, con le stesse parole con cui è stato pensato o detto, e può essere segnalato dai due punti o dal trattino medio, e dalle virgolette che lo racchiudono.

Mario disse: «Prendi pure il mio slittino, tanto domani non lo uso».

DISCORSO INDIRETTO
Il narratore riporta le parole o i pensieri di un personaggio riformulandoli in una proposizione subordinata.

Mario disse di prendere pure il suo slittino, tanto il giorno dopo non l’avrebbe usato.

Riportando la frase in maniera indiretta dovremo fare attenzione a cambiare, oltre la forma verbale, anche gli aggettivi possessivi e gli avverbi di tempo. Nell’esempio mio diventa suodomani diventa il giorno dopo.

Passiamo adesso al discorso libero (diretto o indiretto). L’enunciazione del pensiero del personaggio. 

Leggi anche:
Come si scrivono i dialoghi 

IL DISCORSO DIRETTO LIBERO
Le parole del personaggio sono fedelmente riportate senza introduzione. È in pratica un discorso diretto che non è preceduto né da introduttori sintattici né indicatori grafici. 
Osserviamo l’esempio di Elena Ferrante.

Non ero la donna che è fatta a brani dai colpi dell’abbandono e dell’assenza, fino a impazzire, fino a morirne. Solo poche schegge mi erano schizzate via, per il resto stavo bene. Integra ero, integra sarei rimasta. A chi mi fa del male reagisco restituendo la pariglia. Io sono l’otto di spada, io sono la vespa che punge, io sono la serpe scura. Io sono l’animale invulnerabile che attraversa il fuoco e non si brucia.
(I giorni dell’abbandono, E. Ferrante)

La narratrice parte raccontando se stessa come donna, così come si percepisce. Nella seconda parte (la parte non in corsivo) utilizza il discorso diretto libero, traducendo il pensiero del personaggio di cui sta narrando (se stessa) senza introdurlo.

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DISCORSO INDIRETTO LIBERO
Rappresenta uno strumento stilistico linguisticamente codificato che esprime uno spostamento da un contesto all’altro, preserva la distinzione tra i due contesti e ne impedisce la convergenza.
Non è introdotto né dal verbo usato nella forma indiretta (disse che), né dal verbo dichiarativo (disse). Il pensiero del personaggio è come se affiorasse, senza essere introdotto.

Diretto: Aveva vinto. «Sempre fortunato questo babbeo», pensò Giorgio stringendogli la mano.
Indiretto: Aveva vinto. Giorgio gli strinse la mano pensando che quel babbeo era sempre fortunato.
Indiretto libero: Aveva vinto. Giorgio gli strinse la mano. Era sempre fortunato quel babbeo.

Perché è così efficace? 
Il discorso indiretto libero ti permette di aggiustare la distanza autoriale dalla psicologia dei personaggi, dal loro canale introspettivo, avvicinare e allontanare la narrazione quando, come e quanto serve. Se il discorso diretto libero crea e mantiene una distanza fissa tra il contesto enunciativo e quello di pensiero, il discorso indiretto libero può farli coincidere e allontanarli a piacimento dell’autore. Evitando la mediazione del narratore è possibile esporre i pensieri dei personaggi con immediatezza, al fine di favorire l’immersione nello scritto da parte del lettore, senza però delegare la responsabilità del racconto alle parole dei personaggi. 

La tecnica dell’indiretto libero è utilizzata diffusamente in letteratura, dalla fine dell’Ottocento. Molto famoso è l’esempio di Verga. Ecco un brano tratto dal racconto Rosso Malpelo.

Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire fior di birbone.
(Rosso Malpelo, G. Verga)

In questo caso il narratore si fa interprete del pensiero del popolo, che credeva, suggestionato dalle superstizioni, che Malpelo – per via dei suoi capelli rossi – non potesse essere che malizioso e cattivo, e che sarebbe diventato senza dubbio un fior birbone. Fedele al suo verismo (caratterizzato dall’uso delle tecniche dell’impersonalità e della regressione), Verga non utilizza il discorso indiretto: la gente pensava che Malpelo fosse un ragazzo malizioso e cattivo… ma il discorso indiretto libero, esponendo i fatti come se il narratore fosse egli stesso una persona del popolo, e componendo così uno degli incipit più famosi della letteratura.

Quando avrai imparato come usarli sarà più facile giocarci. Guarda qui, con che naturalezza Stephen King passa nello stesso periodo da indiretto libero a diretto libero e ritorno:

Intuiva qualcosa di anormale. Era andato peggiorando… E se avesse avuto intenzione di ucciderla? E se
(Oh, piantala Beverly, è tuo PADRE e i PADRI non uccidono le FIGLIE)
avesse perso il controllo? E se…
(It, S. King)

La letteratura, come detto, è piena di esempi efficaci e belli. Qui mi limito a questi ma ce ne sono innumerevoli altri.
Te ne viene in mente qualcuno? Ti è piaciuto il post? Hai domande da farmi su questo tema?
Non esitare a scriverlo nei commenti. Sarò felice di risponderti.


Perché dovresti vedere “Se succede qualcosa vi voglio bene” su Netflix

Less is more. Sembra essere questa la cifra stilistica di If anything happens I love you, il nuovo corto di animazione di Netflix. 

Due genitori elaborano la perdita della figlia in seguito a una sparatoria a scuola. Vivono i ricordi, ripensano gli spazi, riorganizzano i ruoli e le abitudini; una relazione di coppia che pare svuotata da questa mancanza, due individui nella stessa casa, ognuno per conto suo, come se insieme alla figlia venisse a mancare il tessuto connettivo della coppia. Tentano di razionalizzare i motivi della violenza e del diffondersi delle armi da fuoco nelle scuole, cercandone qualcuno che includa il senso della loro perdita. Il tutto senza una parola.

Pochi, pochissimi segni grafici a tratteggiare uno stato emotivo che manda lapilli e poi si contiene in rapida successione, come magma sul fondo di un vulcano attivo, una condizione sospesa, carica di domande e ricordi. Pochi segni che bastano a descrivere magistralmente le emozioni sui volti, sui corpi, sui gesti dei genitori. 

I colori sono pochissimi e cupi, tranne quelli usati per tingere l’impronta dei loro ricordi sugli oggetti reali, su qualsiasi – pochi, giusto un paio – oggetto che contenga una memoria di benessere o di gioia. 

Gli autori del corto, Will McCormack and Michael Govier, lavorando a stretto contatto con Everytown for Gun Safety (un’organizzazione senza scopo di lucro che sostiene il controllo delle armi), hanno incontrato genitori che hanno perso i loro figli a causa delle armi da fuoco nelle scuole. Questo corto ha il proposito di onorare il loro coraggio e, se mai fosse possibile, alleviare il loro dolore. 

Toccante oreficeria minimalista, che in dodici minuti analizza un tema che neppure anni e decenni sono sufficienti a districare e risolvere. Una piccola magia. Consigliatissimo.

“Underworld”, di Don DeLillo | Mini Recensione

È un libro mondo a cui piace lasciarsi leggere. Tu, da lettore, lo leggi, vivi quei momenti e alcuni li gusti davvero. Ma sono momenti, un mosaico sconclusionato. È bellissimo, ma non sai cosa hai letto. E sono mille pagine, trovare la forza dentro di sé di finirlo, darsi uno scopo, una motivazione per perderci tutte quelle ore levandole ad altre letture che intanto sono lì, che si accumulano sul comodino, perché il tempo passa e tu passi dalle librerie e le voci girano e vuoi leggere altro, be’, riuscire a trovare la forza di finirlo è forse l’impresa più grande. Non è una fatica, ma dopo aver letto dieci pagine ti chiedi: ma che ho letto? Perché lo leggo? Perché è DeLillo? Perché è scritto indiscutibilmente bene? Sì, per questo.
C’è un solido crinale che separa la fiction literacy dilagante dal romanzo di genere, fatto e finito, con la trama semplice, e i personaggi archetipici. E se una via di mezzo  esiste, non è questo il caso. Qui siamo all’integralismo della fiction literacy.
Eppure ti trovi a chiederti, mi è piaciuto?
Sì, tanto. Lo consiglieresti? Dipende. È tanto davvero. E non lo ricorderai tutto. Come nella vita non ricordi tutto. Momenti magici, però, quelli sì, quelli ti rimangono. Positivi o negativi, non importa. I libri mondo sono così, e non è un caso, e lo si evince, che Ulisse di Joyce sia la sua opera di riferimento.

“Maigret nella casa dei fiamminghi”, di Georges Simenon | Mini Recensione

«Aprite la porta!»
Un soffio d’aria fresca entrò in quella atmosfera soffocante.


La scrittura di Simenon è un esempio magistrale di prosa al servizio della trama.
Uno degli errori più comuni negli scrittori incompiuti è dire tutto, specificare cose ovvie, magari aggiungendo orpelli di dubbio gusto. Qui è invece il dono della sintesi. Guardate lo stralcio qui sopra. Non si sa chi abbia aperto la finestra. Non ci interessa. Ciò che serve sapere al lettore per immergersi nella vicenda è che arriva il fresco a mitigare quella atmosfera soffocante. Lo senti sulla pelle, quel fresco. Il punto di vista – focalizzazione interna – di Maigret è rispettato. Lui urla aprite la porta, non gli interessa né sa, probabilmente, chi ha eseguito il suo ordine. Sente solo l’aria fresca arrivare, perché concentrato su altro.
Una trama lineare, fabula e intreccio scorrono paralleli. Lo stile pulito, scevro da innesti extradiegetici, personaggi ben costruiti, non raccontati ma che vivono, che appaiono ai nostri occhi nelle loro azioni e nei loro dialoghi. Prosa al servizio della trama, come da manuale, in un romanzo giallo che Simenon ha scritto (a suo dire) in un mese e mezzo. Che invidia.

I segreti di Zoltar, tra gioco di ruolo e narrativa

Zoltar con Joe Manganiello.
Zoltar (a destra) in compagnia dell’amico Joe Manganiello, nella taverna della sua villa a Beverly Hills.

Basato sull’elemento espressivo della narrazione, il gioco di ruolo ha molti elementi in comune con la scrittura narrativa. In fondo una partita non è altro che una storia raccontata dal Narratore e vissuta dai giocatori al massimo grado di immersività, che si modifica in base ai loro comportamenti. Esiste un nesso tra i due tipi di narrazione? Ne parliamo con Christian “Zoltar” Bellomo, esperto di Giochi di Ruolo di fama internazionale. Tra storie di gruppi di avventurieri e lussuose ville a Beverly Hills, andremo alla ricerca di questa ideale (e forse forzata) connessione, analizzando il valore del gioco di ruolo oggi e il suo sviluppo a livello mondiale.

Innanzitutto, cos’è un gioco di ruolo (GdR)?

Userò le parole di chi ne sa più di me, ovvero Frank Mentzer, creatore della Scatola Rossa di D&D che aiutò a introdurre i nuovi giocatori a questo gioco:

Mentre volteggi su te stesso, la spada in pugno, l’enorme drago rosso col suo soffio incandescente piomba verso di te con un ruggito!

Vedi? La tua fantasia si è già destata. D&D è un modo per sognare a occhi aperti insieme ai tuoi amici, come guardare lo stesso film o leggere lo stesso libro. Ma le storie le puoi scrivere tu, senza mettere una parola su carta, semplicemente giocando.

Ogni narrazione si basa sul patto implicito di sospensione di incredulità, per cui il lettore accetta di credere al narratore per tutta la durata del racconto. Anche in un GdR esiste questo patto, e quanto conta per la riuscita del gioco stesso?

Nel caso del GdR questo patto tende a perdere forza perché la sospensione di incredulità si scontra con la possibilità da parte dei personaggi di agire liberamente. I giocatori, soprattutto i principianti, tendono a sfogare le proprie fantasie invece che attenersi alla storia che il master ha preparato per loro. Fantasie talvolta in contrasto con la storia stessa. Io la chiamo Sindrome da Westworld. Se hai visto il film o la serie di Westworld capirai bene cosa intendo. In sintesi, in un futuro prossimo le persone possono entrare in un parco a tema chiamato Westworld, dove viene ricreato un mondo Western in cui i visitatori sono i protagonisti, e possono fare qualsiasi cosa, perché gli abitanti di questo mondo sono dei cyborg, replica degli abitanti del west. Qualche giorno a Westworld e i freni inibitori sociali dei visitatori tendono a cedere, lasciando scaturire istinti violenti e irrazionali. Nel caso del GdR questa possibilità di “fare tutto” deve essere controllata da un “patto sociale” stipulato tra tutti i giocatori, tenuti a onorare l’esperienza di racconto condiviso. Per farti un esempio: sarebbe poco divertente se il gruppo – o il singolo giocatore – facesse fuori tutti i coprotagonisti della storia che il Narratore ha creato, o che bruciasse un villaggio solo per il gusto di farlo.  

In un romanzo, perché il patto implicito con il lettore sia mantenuto, sono fondamentali coerenza e verosimiglianza. Come funziona in un GdR? 

In un gioco in cui tutto è possibile coerenza e verosimiglianza iniziano a scricchiolare. Dipende molto dal tempo che si ha per raccontare una storia. Un libro ha una sua storia che inizia e finisce, il GdR può avere tante storie che racchiudono la storia dei personaggi. Essendo generalmente tutto fantastico e magico, la coerenza può interrompersi con un colpo di scena da parte del Narratore o dei giocatori.
La verosimiglianza è un altro elemento che in un GdR può reggere solo fino a un certo punto perché ha senso rispetto al mondo reale; in un mondo fantastico un uomo può, in pochi secondi, far esplodere una gigantesca palla di fuoco. Qualcuno dice che nei giochi di ruolo sia applicato il naturalismo Gygaxiano (Gary Gygax è stato il padre dei GdR) con l’intento di creare un mondo con una propria coerenza, in cui le entità presenti non siano soltanto ostacoli per la realizzazione della missione, ma abbiano una vita a se stante al di fuori delle azioni dei personaggi. 

Però per coerenza narrativa intendiamo anche che in un mondo fantasy medievale non atterri, per dire, un’astronave aliena…
E invece sì.
Ci sono migliaia di persone che stanno aspettando l’uscita di Baldur’s gate III che inizia proprio così, una cittadina medievale viene attaccata dagli alieni:

Allora tutto è possibile? 

Esattamente. Ormai ci si sta distaccando dalla classica visione tolkieniana, per fortuna.

In letteratura, sempre per la stabilità del patto implicito, è importante che l’autore abbia una propria voce e che sia autorevole. Potremmo adattare il concetto al GdR, e in questo caso la voce autoriale potrebbe trasformarsi nella voce fisica del Narratore (Master). Quanto è importante la voce del Master?

Sia la voce sia l’empatia con i giocatori sono fondamentali. Per farti capire quanto è importante e quanto può essere determinante ti farò un esempio stellare. In America c’è un gruppo chiamato Critical Role che gioca le proprie partite in diretta live, ed è composto interamente da doppiatori professionisti. Il gruppo è diventato così famoso che i suoi membri hanno lanciato un Kickstarter (piattaforma di crowdfunding americana) per poter realizzare il cartone animato delle loro partite di ruolo. Be’, sai quanto hanno raccolto? 12 milioni di dollari per la prima serie, e Amazon li ha reclutati per altre 2 stagioni! Ovviamente alla voce è dovuta solo una parte di questo successo, ma è senza dubbio un esempio di come dei doppiatori siano riusciti a mettere le proprie doti al servizio della narrazione e dell’improvvisazione nel gioco.   

In un mio post parlo di struttura narrativa. Ci sono scrittori per i quali è imprescindibile definire la struttura prima di iniziare a scrivere la storia, e altri che si lasciano guidare dai movimenti, dalle ambizioni, dai caratteri dei personaggi. Ovvio che in un GdR la funzione stessa di Master impone di preparare quantomeno una scaletta. Quanto sei disposto in una campagna, in un’avventura, a lasciare spazio ai personaggi? Quanto contano le decisioni prese a priori?

L’improvvisazione è il cardine per poter saper gestire una buona sessione di gioco. Una regola non scritta molto nota tra noi master è: “I giocatori faranno sempre l’opposto di quello che aveva pensato/scritto il narratore”, ed è una regola purtroppo quasi sempre valida. Un gruppo abbastanza esperto si accorge quando il Narratore sta forzando gli eventi o un percorso da seguire. La tecnica sta nel riuscire a fargli credere il contrario. C’è un’altra tecnica estremamente efficace ed è questa. Spesso i giocatori discutono tra loro, scambiandosi pareri, condividendo timori, sospetti e intuizioni. Un bravo master impara a usare questi spunti e a adattarli all’avventura che sta conducendo.

Ricordo quando leggevo i librigame. Odiavo le storie in cui qualsiasi intervento del personaggio non aveva nessun impatto con lo svilupparsi della vicenda, che appariva appunto forzata dal narratore. Mi dava un senso di impotenza (e di noia).

Paragonare il librogame all’esperienza del GdR è un po’ azzardato, essendo lo stesso una via di mezzo tra un libro (storia chiusa e predefinita dall’autore) e un gioco di ruolo (storia in constante evoluzione determinata da tutti i giocatori).

In effetti sì, ma lo dicevo per mantenere un collegamento tra gioco di ruolo e pagina scritta. Cosa pensi dell’affermazione che il GdR non è solo un passatempo ma uno stile di vita?

Consigli di Zoltar durante una sessione di gioco di ruolo
Zoltar durante una sessione di gioco.

Dipende, soprattutto dall’età. Tra i 12 e i 30 anni potrebbe essere uno stile di vita, e ancor più un modo per imparare a gestire al meglio alcune situazioni, quelle che coinvolgono più persone, per esempio, per imparare a organizzarle e a definire e rispettare i propri ruoli. Tempo fa un conoscente (un dipendente ad alti livelli di Google, California) mi ha confidato che nessuno dei numerosissimi team building a cui ha partecipato nel corso della sua carriera può lontanamente eguagliare una sessione di GdR.
Nel mio caso il GdR era uno stile di vita prima, ora è diventato una sorta di lavoro/volontariato. Credo nella bontà di questo gioco e sono convinto che se venisse abbracciato su scala mondiale potrebbe cambiare il mondo. Il tavolo da gioco è iniziato ad andarmi stretto, ho avvertito la necessità di divulgare il GdR, e per farlo occorreva conoscerne i retroscena, i protagonisti e le meccaniche dietro alle aziende che li producono. Mi sono adoperato in tal senso.

Quindi il gioco di ruolo può avere sbocchi professionali, anche ad alto livello.

Questo è il momento giusto per investire nella propria passione. Qualcuno dice: «È il ritorno della Golden Era degli anni ’80/’90». Io dico: «No, è questa la Golden Era!» perché in questo momento l’ultima versione di Dungeons&Dragons (D&D) ha sbaragliato qualsiasi record delle edizioni passate, è diventato pop culture, lo troviamo nelle serie televisive (Stranger Things) e gran parte di Hollywood ha un passato da giocatore. Hai presente i fratelli Russo, registi di Avengers Endgame (il film con il più alto incasso della storia)? Ecco, uno dei due ha fatto un paio di episodi della serie Community incentrati proprio su D&D. I registi di Game of thrones (la serie più costosa della storia) giocano a D&D a casa del mio caro amico Joe Manganiello.
Quindi, rispondendo alla tua domanda, credo che se un italiano volesse investirci il proprio tempo dovrebbe farlo ora, e non riferirsi al mercato italiano (ancora troppo piccolo) ma a quello americano.

Hai mai pensato a investirti in quel senso?

Il mio sito SageAdvice, che è partito come una scommessa, mi ha regalato negli anni tante soddisfazioni, soprattutto a livello umano. Grazie a quell’idea ho potuto conoscere molte persone nel mondo. Rappresentano momenti così emozionanti della mia vita che a volte mi basta il solo ricordo per sentirmi meglio.   

Zoltar fondatore di SageAdvice.eu
La homepage di SageAdvice.eu

Prima dicevi che il GdR potrebbe cambiare il mondo. In che modo?

In questo periodo culturale c’è un grande individualismo manifesto. Il GdR è un gioco di gruppo, che evidenzia l’importanza delle singole funzioni all’interno del gruppo stesso, e insegna quanto importante sia l’Altro per far muovere un sistema. Il GdR cerca di far capire a tutti i suoi partecipanti quanto è importante la cooperazione nel portare a termine una missione.

Cosa consiglieresti a un giovane che si accosta per la prima volta nel mondo del GdR?

In questo momento ci sono tantissime proposte che spaziano dal fantasy al fantascientifico, dalle storie condivise tra partecipanti senza Narratore a quelle solitarie. Solitamente ci sono dei moduli introduttivi gratuiti che danno l’idea generale del gioco e una base per poter iniziare. Inoltre, in questi periodi così ostici, molti giocatori si ritrovano nei canali Discord (un’app gratuita nata per permettere ai videogiocatori di comunicare in tempo reale durante le partite) per giocare online o semplicemente per guardare e capire come si svolge una partita. Alcuni canali YouTube hanno gruppi di giocatori che sono delle vere e proprie celebrità. Se dieci anni fa mi avessero detto che il GdR sarebbe diventato video intrattenimento non ci avrei mai creduto.          

Zoltar masterizza una sessione di Dungeons&Dragons

Qualcuno pensa che sia tutta colpa del successo di George Martin e del suo Trono di Spade, ma secondo te a cosa si deve il boom del fantasy a cui stiamo assistendo in questi anni?

Be’, non userei il termine “colpa”, piuttosto “fortuna”! Ma non è stato solo Il Trono di Spade ad aver espanso il fenomeno. Partirei dalla prima trilogia del Signore degli anelli al cinema, per poi passare al fenomeno planetario di Harry Potter. Anche i film Marvel o il ritorno del filone Star Wars hanno aiutato a espandere la voglia di Fantastico che in questi anni ha preso piede. Generalizzando mi verrebbe da dire che c’è un desiderio di “fuga” dalla realtà.  

La letteratura fantasy è molto legata al mondo del gioco di ruolo, e il mondo editoriale librario non può prescindere dal fatto che giochi come Dungeon and Dragons o War of warcraft abbiano formalizzato una certa estetica del fantasy, ridefinendo le modalità narrative del genere stesso. Cosa ne pensi?

Che questi due giochi hanno sì caratterizzato l’immaginario Fantasy ma per fortuna, come ho già detto, in questi ultimi dieci anni si è anche assistito a un’espansione e a una sorta di rivoluzione di questi classici. Il Trono di spade ne è un esempio: non c’è una netta divisione tra due fazioni (Luce e Buio, Male e Bene, Orchi e Umani) ma un intreccio di situazioni che non hanno facili soluzioni, scelte sacrificanti e cambi di rotta improvvisi. Soprattutto in questi tempi si sta cercando anche di scoraggiare la scontata identificazione con certe razze considerate malvagie a prescindere (orco = cattivo) o del classico cliché che vuole il cattivone brutto e deforme.
I tempi stanno cambiando, a mio avviso maturando, lasciando spazio a nuovi modi di narrare. Chi avrebbe mai pensato che la povera principessa detronizzata Daenerys Targaryen sarebbe diventata una spietata distruttrice? È la caduta del tropo Fantastico a vantaggio di una nuova imprevedibilità che ne è sempre stata il cuore.

Non ci resta che raccontarci il sogno, ovvero il tuo viaggio a Beverly Hills, la partita con Joe Manganiello e…

Ricordo quando ho dato il mio regalo a Joe. Era un manuale di gioco in italiano (suo padre ha origini napoletane) con una mia dedica. Quando ha visto il manuale – in italiano – e la mia dedica non ha capito più niente. Ha iniziato a gridare il nome di sua moglie (l’attrice Sofia Vergara, Gloria della sit-com Modern Family). Lei, che era al piano di sopra a prepararsi per uscire con Domenico Dolce di Dolce&Gabbana, è scesa – le ho stretto la mano, era incantevole – e lui, tutto orgoglioso, le ha mostrato il manuale. Tutto questo in una villa da dieci milioni di dollari, a Beverly Hills, e più precisamente nel Gary Gygax Memorial Dungeon, una taverna con appeso alla parete un dipinto originale di Jeff Easley e un tavolo, ancora allestito dalla sessione precedente, su cui avevano giocato Tom Morello (chitarrista dei Rage Against the Machine) e i creatori di Game of thrones.
L’avverarsi di un sogno fantasticato decine di volte nella mia testa.

Intervista di Francesco Montonati

CHI È ZOLTAR?
Zoltar ha creato il sito sageadvice.eu che raccoglie i consigli dei principali designer di Dungeons&Dragons. Dopo 30 anni di D&D ha un desiderio: divulgare il gioco più bello del mondo. Grazie al suo sito, più di 15mila giocatori al giorno possono trovare risposta sulla quinta edizione di Dungeons & Dragons e non solo: consigli dai designer su come giocare, masterizzare, racconti, disegni e regole alternative.
Nel 1996 ha ricevuto da Giovanni Ingellis in persona il premio Immaginaria: “Menzione d’Eccellenza, Master gioco di Ruolo”.  
Dal 2017 è playtester ufficiale per la Wizards of the Coast. Waterdeep: Dragon Heist, Waterdeep: Dungeon of the Mad Mage, Guildmaster’s Guide to Ravnica, Ghosts of Saltmarsh e Eberron sono alcuni dei moduli che ha testato.
Nel 2018 ha partecipato come Dungeon Master all’evento D&D in a Castle: cinque giorni in Francia per giocare a D&D in un castello vicino a Nantes. 
Ha vinto il premio “Giovanni Ingellis” Immaginaria 2018 di cui va molto fiero.
Nel 2019 ha compiuto 30 anni di D&D e li ha festeggiati come special guest all’evento ufficiale di D&D con Satine Phoenix, TJ Storm e Nicola DeGobbis.
È stato  Dungeon Master all’evento “Stranger Things” di Netflix/Hasbro/Asmodee/Mondadori in Piazza del Duomo a Milano.
Ha una rubrica ,”I saggi Consigli di Zoltar”, sulla rivista ioGioco e un twitch mensile su Tom’s Hardware/Cultura POP con Mauro Monti.
Docente della rinomata Scuola Holden dal 2021.
Ha giocato a casa di Joe Manganiello, nella sua villa di Beverly Hills. 

10. Le sequenze narrative

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A questo punto del nostro viaggio nella struttura di un romanzo incontriamo la sequenza. In un testo narrativo, la sequenza è in estrema sintesi una porzione di testo, un insieme di azioni o eventi collegati tra loro da un filo conduttore, che abbia senso compiuto. Ne esistono di vari tipi e, al fine di regolare l’andamento del romanzo, i tempi e il ritmo, è importante conoscerli, saperli distinguere e capirne la funzione.

SEQUENZE NARRATIVE
Raccontano eventi, situazioni e azioni.

DESCRITTIVE
Descrivono persone, oggetti o luoghi. Sono chiamate espositive le sequenze che contengono informazioni per il lettore, utili a comprendere la storia.

DIALOGICHE (o discorsive)
I personaggi parlano tra di loro in forma diretta. Con le virgolette e tutto il resto. Parleremo approfonditamente dei dialoghi in un prossimo post.

RIFLESSIVE
Riflessioni e pensieri dei personaggi o del narratore.

Ora che conosci i tipi devi sapere che le sequenze si possono dividere ancora in due gruppi: statiche e dinamiche.
Dinamiche portano avanti la narrazione, la vicenda, gli eventi.
Statiche rallentano, fermano, stagnano.

Adesso prova a esaminare il testo seguente. Cerca di suddividerlo in sequenze e di individuare il tipo di ciascuna di esse.

Era la prima volta che saltava la luce. Mario aveva sempre avuto paura del buio, gli era rimasta da quando sua madre lo chiudeva nello sgabuzzino insieme a scope, detersivi e scarpe perché aveva picchiato la sorellina Silvia. Dal giorno del suo trasferimento in quell’appartamento non aveva mai spento la luce. Tre anni di luce perpetua, e gli andava bene così. Non era nemmeno disposto a cedere alla tentazione delle luci di Natale, con i loro pericolosi guizzi a intermittenza. Avrebbe voluto dire attimi di luce spenta, avrebbe significato aspettare quegli attimi – durante i quali i piccoli neon attorcigliati ai rami dell’abete in plastica cinese si spegnevano e lasciavano la stanza nel buio totale – con il fiato sospeso, l’ansia che non si riaccendessero più. Niente luci di Natale, l’albero sarebbe bastato. Abitava da solo, del resto, nessuno si sarebbe lamentato.
In quel momento, solo il lampione dalla strada diffondeva un fioco barlume in casa.
Mario ebbe un sussulto. Da fuori era arrivato un rumore, come un tonfo. La sveglia sul comodino segnava l’una e ventisette. Si avvicinò alla finestra, guardando d i sbieco, in modo da non essere visto da fuori. Da quella posizione non vedeva nulla. Prese coraggio e si mise con la faccia davanti alla finestra. Sul marciapiede coperto di neve un uomo con un cappotto scuro lo fissava. Aveva il viso coperto dalla mascherina chirurgica con filtro omologato e un cappello di lana abbassato sulla fronte. Raccolse qualcosa da terra e la lanciò nella sua direzione. Il vetro esplose sulla sua testa e Mario rimase senza fiato. Si abbassò per qualche istante sotto il davanzale, un sasso grande come un’arancia giaceva sul pavimento in mezzo ai frammenti di vetro. Rialzò la testa, l’uomo era ancora lì. Lo fissava. Mario aprì la finestra con la mano che tremava.
«Ehi! Cosa fai, imbecille!»
L’uomo lanciò un altro sasso che finì contro il muro, rimbalzò e affondo nella neve da qualche parte.
«Smettila subito ho detto!»
«Smettila tu, idiota» rispose l’uomo abbassandosi a cercare in terra un’altra pietra.
«Chiamo i carabinieri».
Quello allargò le braccia e gli puntò l’indice. «Se la tocchi ancora sei morto».
«Ma di che diavolo stai parlando?»
L’uomo prese a correre a grandi balzi sulla neve. Raggiunse una Yaris grigia, entrò, ma l’auto non si mosse. Abbassò il finestrino e iniziò a fargli gestacci senza senso. Mario non riusciva a distinguere che gesti fossero ma escluse che fossero amichevoli. Il finestrino si alzò.
Dopo qualche minuto l’auto era ancora ferma, posteggiata davanti al palazzone in cui abitava Silvia.
Era un palazzo di dieci piani e a quest’ora, con quel cielo basso del colore degli incubi, spiccava come un megalite immenso e funereo, un mausoleo, un raccoglitore di anime. Si era alzato un vento gelido, un freddo di morte, urlava e frustava fiocchi di neve. La banderuola scientifica sul davanzale puntava a nord est. L’auto era ancora immobile. Mario chiuse la finestra e prese il cellulare. Il display segnava una chiamata non risposta. Numero sconosciuto.

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Di seguito, lo stesso testo con le sequenze segnalate.

Era la prima volta che saltava la luce. Mario aveva sempre avuto paura del buio, gli era rimasta da quando sua madre lo chiudeva nello sgabuzzino insieme a scope, detersivi e scarpe perché aveva picchiato la sorellina Silvia. Dal giorno del suo trasferimento in quell’appartamento non aveva mai spento la luce. Tre anni di luce perpetua, e gli andava bene così. Non era nemmeno disposto a cedere alla tentazione delle luci di Natale, con i loro pericolosi guizzi a intermittenza. Avrebbe voluto dire attimi di luce spenta, avrebbe significato aspettare quegli attimi – durante i quali i piccoli neon attorcigliati ai rami dell’abete in plastica cinese si spegnevano e lasciavano la stanza nel buio totale – con il fiato sospeso, l’ansia che non si riaccendessero più. Niente luci di Natale, l’albero sarebbe bastato. Abitava da solo, del resto, nessuno si sarebbe lamentato.
In quel momento, solo il lampione dalla strada diffondeva un fioco barlume in casa.

Mario ebbe un sussulto. Da fuori era arrivato un rumore, come un tonfo. La sveglia sul comodino segnava l’una e ventisette. Si avvicinò alla finestra, guardando di sbieco, in modo da non essere visto da fuori. Da quella posizione non vedeva nulla. Prese coraggio e si mise con la faccia davanti alla finestra. Sul marciapiede coperto di neve un uomo con un cappotto scuro lo fissava. Aveva il viso coperto dalla mascherina chirurgica con filtro omologato e un cappello di lana abbassato sulla fronte. Raccolse qualcosa da terra e la lanciò nella sua direzione. Il vetro esplose sulla sua testa e Mario rimase senza fiato. Si abbassò per qualche istante sotto il davanzale, un sasso grande come un’arancia giaceva sul pavimento in mezzo ai frammenti di vetro. Rialzò la testa, l’uomo era ancora lì. Lo fissava. Mario aprì la finestra con la mano che tremava.

«Ehi! Cosa fai, imbecille!»
L’uomo lanciò un altro sasso che finì contro il muro, rimbalzò e affondo nella neve da qualche parte.
«Smettila subito ho detto!»
«Smettila tu, idiota» rispose l’uomo abbassandosi a cercare in terra un’altra pietra.
«Chiamo i carabinieri».
Quello allargò le braccia e gli puntò l’indice. «Se la tocchi ancora sei morto».
«Ma di che diavolo stai parlando?»

L’uomo prese a correre a grandi balzi sulla neve. Raggiunse una Yaris grigia, entrò, ma l’auto non si mosse. Abbassò il finestrino e iniziò a fargli gestacci senza senso. Mario non riusciva a distinguere che gesti fossero ma escluse che fossero amichevoli. Il finestrino si alzò.
Dopo qualche minuto l’auto era ancora ferma, posteggiata davanti al palazzone in cui abitava Silvia.

Era un palazzo di dieci piani e a quest’ora, con quel cielo basso del colore degli incubi, spiccava come un megalite immenso e funereo, un mausoleo, un raccoglitore di anime. Si era alzato un vento gelido, un freddo di morte, urlava e frustava fiocchi di neve. La banderuola scientifica sul davanzale puntava a nord est. L’auto era ancora immobile. Mario chiuse la finestra e prese il cellulare. Il display segnava una chiamata non risposta. Numero sconosciuto.

Il testo segnalato in verde inizia con una sequenza mista, espositiva all’inizio con un guizzo descrittivo finale. Fin qui tutto fermo.
L’azione inizia nella parte segnata in rosso, la sequenza narrativa, con degli inserti descrittivi – brevi pennellate – a introdurre un nuovo personaggio.
La vicenda, nella sequenza dialogica segnata in blu, non si sviluppa molto. Eppure l’azione del lettore è stimolata: conosce i personaggi, vede come reagiscono. Mario ha sì paura del buio, ma non di uno sconosciuto che lo aggredisce in piena notte. Gli risponde per le rime, si nasconde un poco, ma il suo istinto è quello di reagire. Lo sconosciuto, dal canto suo, non sembra impaurito dalla minaccia dei carabinieri. E intanto ficchiamo nel discorso un dato di suspense (se la tocchi ancora). Di chi parliamo? Di una donna che non conosciamo? Di sua sorella, che da piccolo picchiava? C’è da indagare.
Il senso di morte sospesa ce lo dà il palazzone di fronte (sequenza descrittiva), che si staglia come una lapide contro il cielo color dell’incubo (sequenza statica).

Prova a evidenziare il tuo testo come ho fatto qui, ti accorgerai facilmente se una sequenza è troppo lunga rispetto alle altre, e potrai lavorare per stabilire un equilibrio delle parti, dinamiche e statiche. Non c’è nessuna regola che stabilisca il giusto rapporto tra sequenze, dipende da te, dal tuo stile, ma se noterai una pagina di un colore e tre righe di un altro sarà più semplice capire come intervenire.
Sarà un’alternanza tra acceleratore, freno, acceleratore, prima, freno. Sarà tutto un alzare i giri fino al climax finale. Arriveremo fino alla quinta, fino a fondere il motore? Questo sarai tu a deciderlo. L’importante è che tu abbia gli strumenti per farlo. L’organizzazione delle sequenze è uno di questi.
Alla prossima, e buona scrittura!

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09. Sospensione dell’incredulità, il patto implicito

Quando raccontiamo una storia, stiamo descrivendo un mondo “altro” dal reale. Stiamo, in pratica, raccontando bugie. Al fine di godere della narrazione, il lettore stipula con l’autore un patto implicito di sospensione dell’incredulità, accetta cioè volontariamente di credere alle sue storie fino alla fine del libro.
È questo il meccanismo mentale che consente al lettore di immergersi nella storia anche se parla di astronavi, alieni, mostri o vampiri. Non ci crede davvero ma finge con se stesso di crederci.

Come tenere vivo questo patto e non tradirlo?

Abbiamo parlato di voce autoriale e di quanto sia importante la sua autorevolezza. È fondamentale che risulti credibile, perché da questo dipende il patto. Dalla plausibilità di ciò che si scrive, dalla coerenza e dalla verosimiglianza.
Tra i compiti del buon narratore c’è quello di fornire al lettore dettagli che gli permettano di entrare nella storia e di sentirla sulla propria pelle, evocando un ambiente fisico simile a quello a cui è abituato.

“Se non gli viene dato modo di vivere la storia, di toccarla con mano, il lettore non crederà a niente di quel che il narratore si limita riferirgli”. (F. O’Connor)

Henry James definiva la tendenza di certi scrittori a trascurare questi dettagli “Specificazione fiacca”. Quando descrivi qualcosa cerca di focalizzarla in mente, prima di scriverla. Ti aiuterà a far emergere dei particolari reali che il lettore riconoscerà, e che fungeranno da pass par tout per quella sospensione di incredulità così fondamentale per la riuscita del racconto.

Verosimiglianza è quando all’interno di un contesto gli eventi narrati appaiono come veri. La magia per Harry Potter è una finzione ovvia. Ci crediamo perché inserita in un mondo in cui la magia è un’arte diffusa, ci sono addirittura scuole che la insegnano. Ma se apparisse l’astronave di Alien, pur essendo un elemento fantastico, sarebbe fuori luogo e il lettore lo sentirebbe – paradossalmente – inverosimile.
Infine dev’esserci una coerenza narrativa che leghi il romanzo nella sua interezza, premesse iniziali applicate fino alla fine del romanzo. Perché il lettore rimanga disposto ad accettare ogni eventuale stranezza bisogna conservare il senso di coerenza, per tutta la durata della narrazione. È molto improbabile che un pagliaccio stia nascosto in un tombino, eppure non ci appare inverosimile che Pennywise salti fuori dalla fogna di Derry nel libro It. Come fa Stephen King a ottenere tutto ciò? Facendo suoi i concetti appena espressi. Autorevolezza, verosimiglianza e coerenza.

Il patto implicito di sospensione di incredulità con il lettore è un principio fondamentale della scrittura, come di ogni arte o attività che si basi sulla narrazione, dal cinema al teatro ai giochi di ruolo e via dicendo. Senza l’abbrivo di questo patto la magia non può avere inizio. Tienilo bene a mente, e non solo se stai scrivendo un libro di fantascienza!

“Il Conte di Montecristo”, di Alexandre Dumas | Mini Recensione

Ne ho sentito parlare come un libro di avventura, e l’avventura c’è. Ne ho sentito parlare come di un libro di vendetta, e certamente c’è. Ma ci sono piani profondi, molto più profondi di questa superficie. Un piano di indagine sul senso della vita, della fede, della vendetta, della punizione, dell’amore, dell’affetto, del possesso, del giusto e dello sbagliato, del bene e del male, di forma e contenuto, di cielo e di terra, di Dio e del diavolo.

Uno dei pochi romanzi di cui ho memoria che riesca a conciliare il numero di sottotrame, svolte, capovolgimenti, colpi di scena – macchinosi all’inverosimile – con la verosimiglianza degli eventi stessi. Una credibilità di fondo data dalla perfetta coerenza tra la psicologia dei personaggi e le azioni degli stessi, e l’interazione di tutti i personaggi.

Scorrevole e appassionante, capace di risvegliare emozioni in modo inaspettato. La tensione, la gioia, la rabbia. Sembra di viverle sulla nostra pelle. Esistono libri che, letta l’ultima riga, ti dispiace perché non potrai avere più quegli amici che ti hanno accompagnato per il tempo della lettura. Poche sono le volte che capita di incappare in libri simili, per lo meno a me, ma questa è sicuramente una di quelle.

08. Inizio al fulmicotone: l’incipit

  • Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
  • Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. 

Due incipit piuttosto famosi: Anna Karenina di Lev Tolstoj e Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway. Cos’hanno in comune? Molto poco, per la verità. Argomento, periodo storico, luogo geografico; tutto diverso. Eppure una caratteristica comune ce l’hanno: fanno breccia. Li leggi, ti fermi a pensare. Ti interroghi. Sei attratto. È vero: ogni famiglia infelice è disgraziata a suo modo. Ma perché l’autore mi dice questo? Fammi vedere come va avanti. E questo vecchio? È solo, e sono ottantaquattro giorni che non prende un pesce. Di cosa campa? Avrà qualcuno che lo aiuta? Aspetta che vado avanti.

L’incipit deve essere così: intrigante, potente, coinvolgente. Capace di acchiappare il lettore dalla prima frase e portarlo con sé nella narrazione. Proviamo a vedere come si fa.

Occorre innanzitutto tenere in considerazione alcuni aspetti. Il primo è che nei tempi e nelle epoche storiche il gusto del lettore è variato (se prima si amavano romanzi sterminati, per esempio, ora si fa più fatica a leggerli). Il secondo è che la soglia di attenzione si è abbassata. Questo per dire che l’incipit dei Promessi Sposi oggigiorno faticherebbe a essere digerito.

Le tecnologie, le urgenze da social, le ristrettezze di tempo, le vite più piene di cose da fare hanno contribuito a far sì che il livello di attenzione delle persone andasse poco a poco a ridursi. La comunicazione ha dovuto adeguarsi a questi cambiamenti, e poiché scrivere è comunicazione, anche tu autore/autrice dovrai adeguarti.

Prendiamo, ad esempio, la comunicazione pubblicitaria. Hai presente quando su YouTube ti appaiono annunci che dopo cinque secondi puoi scegliere di saltare? Magari vuoi guardare un video musicale ma quei cinque secondi ti fanno cambiare idea, o almeno accettare di procrastinare la visione per vedere come va a finire l’annuncio. Il più delle volte non succede, ma quando capita, quei cinque secondi sono così intriganti che quando appare la freccetta salta questo annuncio la ignori e aspetti la fine dello spot. Se confronti il tratto comunicativo con quello del Carosello che guardavano i nostri genitori, hai subito la percezione di quanto le cose siano cambiate. Sono cambiati i gusti, è diminuita la soglia di attenzione. La comunicazione s’è fatta aggressiva, competitiva perché deve combattere contro una marea di altri stimoli. Come i copywriter si sono dovuti immaginare nuovi scenari per coinvolgere lo spettatore estraneo e disinteressato in soli cinque secondi, così devi fare tu.
È pubblicità, certo, la narrativa è un’altra cosa. Ma immagina il tuo incipit come quei cinque secondi. Ti è chiaro come Quel ramo del lago di Como ai giorni nostri sia del tutto superato?

Hai una, due righe per agganciare il lettore e presentargli la tua opera. Ti giochi tutto. Meglio non rischiare.

Del resto è la prima cosa che il lettore leggerà, ne va del successo di tutto il romanzo (e della possibilità di essere pubblicato). Se questi sono i tuoi timori nell’affrontare lo schermo bianco, ho una buona notizia per te: l’incipit lo puoi scrivere anche alla fine, terminata la prima stesura. Quando avrai bene chiaro in mente di cosa parla il tuo romanzo. Sarà molto più facile.

L’incipit è il patto che fai con il lettore. Gli mostri il tuo romanzo, le sue atmosfere, il tuo stile, e il tuo registro; lui decide se seguirti o chiudere il libro. Devi invogliarlo a stringerti la mano suggellando il patto di sospensione dell’incredulità, e poi devi rispettarlo, per l’intero romanzo, tenere con coerenza la stessa cifra dall’inizio alla fine. Immaginati, per esempio, di scrivere un incipit di scheletri parlanti e catene appese al soffitto; il lettore si aspetta un horror, si sentirebbe spiazzato se la storia virasse in un dramma sentimentale. Riparleremo in un prossimo post di coerenza e sospensione dell’incredulità, ma ora torniamo sull’incipit.

Per farci un’idea, diamo una sbirciatina nel panorama contemporaneo italiano. Ecco alcuni incipit di titoli recenti.

Alice Basso – Scrivere è un mestiere pericoloso
Ho scoperto che il peso specifico della carta è 10.000 N/m.
Un po’ più della cenere e della cera d’api. Un po’ meno del latte, nettamente meno del sale e del talco. Più o meno quanto il ghiaccio. Un po’ di più del toluolo, che non ho idea di cosa sia (un liquido volatile, dice Wikipedia, quindi tanto pesante non sembra).
Se ne evince che tecnicamente –
tecnicamente – la carta potrebbe essere piuttosto leggera.
Ora ditemi voi se non è una cazzata questa.

Sara Rattaro – La giusta distanza
Avevo conosciuto Luca il giorno in cui avevano operato mia madre per la prima volta. Era rimasta due settimane in ospedale. Io mi sedevo ogni pomeriggio nella sua stanza a studiare. Finché, un giorno, decisi di fare due passi. Entrai nella caffetteria. Afferrai uno yogurt e una mela e infilai un bicchiere sotto l’erogatore dell’acqua. Fu lì che visualizzai per la prima volta la mia vita senza di lei. Per la prima volta mi immaginai sola.

Malinverno – Domenico Dara
Quando venni al mondo avevo dodici anni, cinque mesi e centosessantaquattro ore. Perché non nasciamo il giorno in cui vediamo la luce, nell’attimo in cui braccia sconosciute ci trascinano nell’infinito e indecifrabile corso della storia, ma molto prima, quando il pensiero di noi si è insinuato nella mente ancora libera di uomini e donne, quando il nome d’un essere inesistente appare nell’orizzonte sfumato d’una vita possibile.

Sto bene è solo la fine del mondo – Ignazio Tarantino
La fine del mondo, così come la conoscevo, iniziò la sera del 23 novembre 1980. Quella domenica il Cristo del Sacro Cuore fece di tutto per avvertirmi che stava per succedere qualcosa di tremendo, ma io non gli diedi retta.

Andrea Vitali – Il metodo del dottor Fonseca
Quella mattina la radiosveglia suonò alle sette. Squillava anche il telefono, lo capii dopo aver spento la radio ma non me ne preoccupai, non avevo alcuna voglia di alzarmi e rispondere.

Gianrico Carofiglio – La regola dell’equilibrio
Era forse il dieci di aprile. L’aria era fresca, tersa. Spirava una brezza profumata molto rara in città, il sole e la sua luce si spandevano liquidi su di noi e sulla facciata grigia del tribunale. Carmelo Tancredi e io eravamo vicini all’ingresso, chiacchieravamo.

La tentazione di essere felici – Lorenzo Marone
l ticchettio della sveglia è il solo rumore a tenermi compagnia. A quest’ora la gente dorme. Si dice che le prime ore del mattino siano il momento migliore per il sonno, il cervello è in fase Rem, quella in cui si sogna, il respiro diventa irregolare e gli occhi si muovono rapidamente da una parte all’altra. Uno spettacolo tutt’altro che divertente, insomma, come trovarsi di fronte a un indemoniato.

Febbre – Jonathan Bazzi
Tre anni fa mi è venuta la febbre e non è più andata via.
11 gennaio 2016.
Trentun anni non ancora compiuti.
Torno dall’università: è ora di pranzo, ma non ho fame.
Cos’hai?
Non mi sento tanto bene, forse mi sta venendo la febbre.

Le otto montagne – Paolo Cognetti
Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza.

Hai forse visto qui sopra incipit descrittivi? No, vero? Segno che qualcosa, rispetto all’Ottocento e ai primi del Novecento, è cambiato.
Qualche incipit che iniziava con la descrizione didascalica del protagonista? Età, fisico, professione? Nemmeno. Questo perché un inizio simile fa addormentare. Un’altra cosa che non abbiamo visto qui sopra sono le anticipazioni della trama, perché farebbero perdere al lettore il gusto della scoperta e fallire il tuo incipit. Il lettore conoscerà il tuo protagonista attraverso le sue azioni, nello svolgimento del plot. Non anticipare, non sintetizzare. Magnetismo, ricordi? Tutto quello che può far perdere forza alle tue prime righe, evitalo.

Viceversa, facci caso: ti pare di avere notato qualche incipit “antipatico”? Qualche personaggio che ti indispettisse alla sua prima comparsa? Qualche pensiero posto in maniera arrogante, saccente o indisponente? No, perché sono incipit ben studiati. Mai sentito parlare di captatio benevolentiae?
In retorica, questa espressione indica l’intento dell’autore di disporre favorevolmente l’attenzione di chi legge, fin dalle prime righe del componimento. È una cosa che, oggi più che mai, pare diventata dogmatica. Non è sempre stato così, ma adesso serve. Non esistono più personaggi antipatici. Perché se sono antipatici, l’autore trova il modo per presentarli in maniera accattivante, che non urti il lettore, cosicché si affezioni e ne segua le vicende con interesse e disponibilità. Nei precedenti esempi abbiamo visto vari metodi per arrivare a questo. Raccontare con ironia, suscitare compassione per il protagonista, giocare con caratteristiche che in un modo o nell’altro suscitino simpatia come ingenuità, cocciutaggine e via dicendo. Il fine però è sempre lo stesso: fare una bella impressione sul lettore, come quando cerchiamo di far trasparire il nostro lato migliore con qualcuno che ci è appena stato presentato.

Ci sono eccezioni, certo. Guarda qui.

Bâtard era un diavolo. La cosa era risaputa in tutte le Terre del Nord. Molti lo chiamano Stirpe d’Inferno, ma Black Laclère scelse per lui l’infame nome di Bâtard. Dunque, anche Black Laclère era un diavolo e i due erano ben assortiti.
(Bâtard, J. London)

Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone.
(Rosso Malpelo, G. Verga)

Negli incipit di queste due novelle i personaggi sono intriganti e potenti, certo non simpatici. Ci sono dunque eccezioni, vedi, ma in altre epoche. La realtà di tutti i giorni è già così piena di fatti spiacevoli, adesso il pubblico cerca leggerezza ed evasione. Guarda, per esempio, il dilagare del genere fantasy.

Un’ultimo consiglio. Non esagerare con lo stile. Iniziare al meglio, questo è chiaro. Però attenzione a non strafare. Non iniziare col botto, enfaticamente, usando a sproposito parole altisonanti che sono lì a farsi ammirare. Ricorda less is more e la parola è un mezzo, non un fine. Usa un livello che più ti appartiene e solo se sei in grado di sostenerlo per tutta la durata del tuo romanzo.

Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto.
(Neuromante, W. Gibson)                                                          

È un gran bell’inizio. Alto livello, stile convincente e forte personalità. Ma riesci poi a tenere una cifra stilistica a questo livello, questa autorevolezza per tutto il romanzo? Se ne sei capace, buon per te, hai tutta la mia ammirazione. Anche Gibson, del resto, ci è riuscito.
Il rischio però è di soffermarsi sull’incipit e renderlo sì bello, ma isolato, slegato da tutto il resto. E non è affatto funzionale. Ti è mai capitato di sentire parlare di un libro, di trovarlo in libreria, aprirlo e – illuminazione – sembra bello! Lo compri, arrivi a casa e il resto non è neanche paragonabile al primo capitolo. Fa arrabbiare, no? Quando mi succede provo un grande senso di rabbia e di frustrazione, mi sento truffato. Così facendo magari alletti l’allocco, come diceva Umberto Eco, ma sei sicuro che un esperto editoriale si farà infinocchiare? La scrittura, per come la intendiamo noi, è sacra, e deve essere onesta. Gli imbrogli non ci piacciono. Noi ci concentriamo sul migliorare.

TECNICHE DIFFUSE
Esaminiamo adesso le modalità che puoi usare.

Metodo narrativo – In medias res
È il metodo più diffuso, usato da sempre, ma ancor più adesso, in questo periodo storico di frenesia d’informazioni. Ti ricordi il film “Batman, il cavaliere oscuro”? Inizia con quell’ansiogena scena della rapina in banca, la musica incalzante e il montaggio da mal di mare. Ecco, questo è un esempio di incipit in medias res. È un film, ma il concetto è lo stesso, iniziare a narrare una scena accattivante in pieno svolgimento.

Se è un giallo magari si aprirà con il cadavere sul pavimento e il detective (o chi per lui), caffè in mano, già affaccendato sulla scena del delitto. Informazioni agite. Questo tipo di incipit è il più consigliato e il più usato, attualmente. Vedere i personaggi muoversi, fare, esistere li renderà più vivi nella mente del lettore, che anche solo inconsciamente riuscirà a figurarseli.
Della stessa famiglia è l’apertura sul racconto del momento successivo a una scena che possiamo soltanto intuire. Ad esempio:

L’uomo correva dinoccolato gettandosi occhiate alle spalle, una mano premuta sulla spalla per cercare di fermare l’emorragia.

Potrebbe essere inseguito da qualcuno o qualcosa, che gli ha provocato la ferita alla spalla. Cosa sarà? Come gli avrà provocato quella ferita? Cosa sarà successo? È un metodo interessante per iniziare, coinvolgente e stimolante.

DESCRITTIVO
Si tratta di iniziare con una descrizione e, se era apprezzato in passato, adesso mi sento di sconsigliartelo.

Cupe foreste di abeti rossi s’affacciavano arcigne sulle due rive del fiume gelato. Un vento recente aveva strappato dai rami il bianco mantello di ghiaccio e nella luce dell’imbrunire gli alberi parevano appoggiarsi l’uno all’altro, neri e minacciosi.
(Zanna Bianca, J. London)

È una bellissima descrizione. Ci immerge subito nel paesaggio che ci accompagnerà per il resto del romanzo, e questo va più che bene. Ma è un libro del 1906. I gusti dei lettori, abbiamo detto, sono cambiati. Usalo con parsimonia e attento a non dilungarti.

INFORMATIVO
Anche questo sarebbe meglio non usarlo. Le informazioni vanno distribuite durante il romanzo, magari agite, non buttate lì all’inizio, tutte di seguito, con immotivata urgenza. È come iniziare con un sommario; se in un saggio o in un articolo di giornale può andare bene, nella narrativa, in cui cerchiamo di restituire una realtà alternativa, non è quasi mai efficace. Attenzione, perché questa tendenza a raccontare ed elencare tutto è molto comune fra gli scrittori all’inizio della loro carriera; non sottovalutare questo punto.

Il vecchio Henry lo diceva sempre. Il problema è che il vecchio Henry diceva davvero tante – troppe – cose. Era difficile seguirlo. Spesso saltava da un discorso all’altro. O partiva per una tangente: rimbalzava tra le sue ramificazioni e ripiombava, in picchiata, sull’argomento da cui era partito. A volte seguiva una logica incalzante lucida, stringente; altre volte i suoi collegamenti passavano per strade alternative: un colore, una sensazione una fantasia. Spesso i suoi monologhi erano pura recitazione, improvvisati sofismi privi di fondamento.
(Io e Henry, G. Pesce)

DIALOGICO
Abbiamo visto che qualcuno inizia con un dialogo. Se vuoi iniziare così il mio consiglio è di non scriverlo troppo lungo. È vero che il lettore vede da subito i personaggi e li sente parlare, però in fondo non li conosce ancora. Non sa niente di loro. Dopo un po’, non gli interessa più quello che si dicono.
Inoltre, considerata la difficoltà di rendere un dialogo realistico e credibile, il rischio di deragliare in partenza è alto. Usa questo metodo solo se sei davvero sicuro dei tuoi dialoghi.

METANARRATIVO
L’autore si rivolge direttamente al lettore. Espedienti come “Il lettore converrà che…” erano usati tempo fa, con il narratore onnisciente. Si rinunciava da subito al patto con il lettore, o se ne faceva uno diverso. Il narratore raccontava una storia, il lettore la seguiva. I ruoli erano definiti. L’immersività era contenuta, limitata. Nei romanzi contemporanei, nei quali si favorisce il coinvolgimento del lettore al massimo grado di immersività e d’immedesimazione possibile, non è il narratore a rivolgersi al lettore ma il personaggio, con una narrazione in prima persona. Allora largo ai vari “non ci crederete mai, ma”, “capirete come io mi possa essere sentito” o “non trovate?”

Consigliato o no? Io lo sconsiglio. A me non piace. È un espediente ruffiano che tenta di ingraziarsi il lettore da subito con stratagemmi facili facili. Non ci crederete mai! Ha molto a che fare con la captatio benevolentiae di cui sopra, perché mira a instaurare con il lettore una sorta di complicità amicale, che difficilmente può fare cilecca. È cercare la strada più facile.

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!»
(Se una notte d’inverno un viaggiatore, I. Calvino).

AFORISMI
Iniziare con un aforisma, con un precetto o una regola assoluta, non è quasi mai una buona idea. Per essere creduta, la tua voce, narrativamente parlando, deve essere autorevole, personale. Deve sembrare di avere addosso anni di esperienza, anche se poi non li ha. Il consiglio è di evitarli, almeno all’inizio. Se hai già letto il capitolo voce narrante, capirai meglio cosa intendo.

È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di moglie.
(Orgoglio e pregiudizio, J. Austen)

Ti viene in mente qualche altro tipo di incipit? Scrivilo nei commenti, ne parleremo insieme.

Insomma, abbiamo messo un bel po’ di carne al fuoco. Ora non ti resta che esercitarti e leggere tanto. Studia come iniziano i classici, confrontali con i titoli attuali, falli tuoi e prova a scrivere i tuoi incipit. Ricorda questi consigli ma tieni sempre a mente che non esistono regole. Ogni volta che ti sconsigliavo una modalità, infatti, ti proponevo appena sotto l’esempio di un romanzo che iniziava proprio in quella modalità. Ogni regola può essere infranta. Prova a infrangerle. Prova a iniziare in un’altra maniera. Da lontano, sul paesaggio. Oppure su un personaggio. È sempre sconsigliabile iniziare con una descrizione? Tu prova a stregare il lettore con una descrizione, prova a intrigarlo, prova a descrivere cose che nessuno vede. Prova a coglierlo impreparato, a stupirlo, ma senza premeditazione, così, con un guizzo, un lampo, con la materia grigia che quasi non riesci a controllare. Un inserto poetico, una soglia segreta, un’ombra che non c’era, un salto nel buio.

Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so.
(Lo straniero, A. Camus)

Ha una forza strepitosa, così come:

Chiamatemi Ismaele.
(Moby Dick, H. Melville)

Nessuna regola, nessun canone. Sono guizzi. Schiaffi che tirano giù montagne.
Di seguito riporto anche qualche incipit di romanzi classici. Spero ti siano d’aiuto. Un’ultima cosa, per i tuoi studi. C’è un sito che dal 2003 raccoglie incipit e che si chiama incipitario. Dagli un’occhiata, potresti trovarlo stimolante.

Be’, abbiamo parlato tanto, questa volta. Non mi resta che salutarti e darti appuntamento alla prossima settimana. Buona scrittura!

Sono un uomo malato… Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole. Credo di avere mal di fegato. Del resto, non capisco un accidente del mio male e probabilmente non so di cosa soffro. Non mi curo e non mi sono mai curato, anche se rispetto la medicina e i dottori.
(Memorie dal sottosuolo, F. Dostoevskij)

1801Sono appena tornato da una visita al mio padrone di casa: l’unico vicino con il quale avrò a che fare. Magnifico paese, questo. Credo che in tutta l’Inghilterra non avrei potuto trovare un luogo così discosto da ogni rumore mondano. Un vero paradiso del perfetto misantropo: e il signor Heathcliff ed io siamo fatti apposta per dividerci tanta solitudine.
(Cime tempestose, E. Bronte)

Il primo lunedì di aprile dell’anno 1625, il borgo di Meung sembrava in preda a una rivoluzione. Le donne scappavano verso la Grande-Rue, i bambini strillavano sulla soglia delle porte, gli uomini si affrettavano a indossare la corazza e, facendosi coraggio con un moschetto, si avviavano verso la locanda del Franc Meuneir, davanti alla quale una folla chiassosa e incuriosita s’ingrossava di minuto in minuto.
(I tre moschettieri, A. Dumas)

07. Il plot, la struttura in tre atti

La struttura è per un romanzo come le fondamenta per una casa. Senza una solida struttura la casa crolla e così il tuo scritto. Ti chiederai se sia meglio stabilire una struttura prima, definire i nodi del racconto e sedersi a scrivere solo quando è tutto definito, oppure se sia meglio iniziare a scrivere e lasciarsi trasportare dai personaggi, dalle loro azioni, interazioni e dai loro desideri. In giro troverai ogni tipo di risposta e analizzeremo questa diatriba più avanti, ma a prescindere che si voglia deciderla prima o dopo, in ogni romanzo deve esistere una struttura.

La più usata, fin dall’antichità, è la struttura in tre atti, teorizzata da Aristotele. La trovi in letteratura, ma non solo. Nel cinema, nelle serie televisive, nelle opere teatrali. Pensa, io l’ho incontrata per la prima volta in maniera cosciente ai tempi del liceo, in un libro per imparare a scrivere temi d’italiano.

I tre atti sono: 
I atto, 1/4 della storia;
2 atto 2/4  della storia;
3 atto 1/4 della storia.

Il primo atto

È l’introduzione, conosciamo i personaggi, individuiamo il protagonista e la sua comfort zone, il mondo ordinario dove abita la sua dimensione quotidiana, e si delineano i primi conflitti narrativi. Il lettore è portato in questa fase a identificarsi con il protagonista.

Nel primo atto c’è il famoso incipit, di cui parleremo in dettaglio più avanti, e si definisce la Grande domanda. Ogni romanzo reca una grande domanda intrinseca, che troverà risposta soltanto alla fine. Ora inizia a segnarti i punti della struttura, li analizzeremo dettagliatamente nei prossimi post.

Il secondo atto

Inizia con la chiamata all’avventura, call to action, prima svolta. Qualcosa che obbliga metaforicamente il protagonista a lasciare il suo mondo ordinario per iniziare il suo viaggio in un mondo stra-ordinario e sconosciuto. Può essere un episodio, una richiesta di aiuto, una circostanza particolare che costringe il protagonista a lasciare la sua comfort zone per lanciarsi nell’avventura, per intraprendere il viaggio entro cui si compirà l’arco della sua trasformazione e quindi del romanzo stesso.
Durante il secondo atto si assiste allo sviluppo della storia, all’evolvere della vicenda con il protagonista posto di fronte a numerose prove, fino alla prova centrale, situata a metà dell’atto (e quindi del romanzo). Un episodio che mette in discussione il protagonista e che accresce l’interesse del lettore. In questo passaggio, l’autore gli conferisce il suo ruolo, quello dell’eroe, di centro della narrazione. Può essere il confronto con la sua più grande paura, la crisi di un amore, l’attacco del nemico, oppure un insuccesso. Qualcosa che possa legarsi simbolicamente al concetto di morte, a cui poi, nella seconda parte del secondo atto, seguirà la rinascita.
È un momento importante, in cui il lettore verrà lanciato verso le tre C, la parte più emozionante del racconto. Non conosci le tre C? Ma è stupendo! Qui in Italia non sono in molti a conoscere questo pattern. Ora te lo spiego, fammi aggiungere solo che in questa fase del secondo atto aumentano i conflitti, sale la tensione e ci avviamo all’ultima svolta: ora si alza la posta, aumenta il rischio, e il lettore, con rinnovato slancio, è catapultato nel terzo atto.

Il terzo atto – le tre C

Il saggio americano Gotham Writers’ Workshop – Writing fiction sintetizza la funzione del terzo atto in maniera esemplare attraverso il pattern delle tre C. È una successione di tre passaggi fondamentali che portano alla conclusione: Crisis, Climax, Consequences.
Immaginate l’ago di un elettrocardiogramma. Crisi, e l’ago si impenna vertiginosamente, climax, si agita impazzito, consequences, e la linea torna dritta e stabile. Crisi è il punto in cui la tensione è al culmine, Climax è quando questa tensione si scioglie e la Grande domanda trova finalmente una risposta, Conseguenze è quello che succede grazie alla risoluzione.
Alla fine del terzo atto tutto sarà risolto e il protagonista avrà percorso l’intero suo arco di trasformazione, nelle Conseguenze vedremo come questo cambiamento influenzerà la sua nuova fase di vita.

Per riassumere:
primo atto, introduzione, ecco il protagonista e i conflitti;
secondo atto, lotta e conquista dell’obiettivo, caduta e rinascita;
terzo atto: crisi, climax e conseguenze. Trasformazione ultimata, risposta alla grande domanda.

Abbiamo toccato alcuni punti che sarebbe troppo lungo sviluppare adesso. Nei prossimi post li vedremo con esempi e approfondimenti.
Buona scrittura e a presto!